giovedì 30 agosto 2007

AAA Ricercatori lituani cercansi

Quando si parla di fuga dei cervelli spesso ci si appella in modo qualunquistico alla complessità dei problemi della ricerca per attenuare le responsabilità e confondere le acque. Tra questi problemi ce n'è uno tanto evidente da essere quasi ignorato: la totale inadeguatezza degli stipendi dei ricercatori nel nostro Paese.
Cito dal blog "Made in Italy" dell'amico Marco Cattaneo de Le Scienze una serie di cifre molto interessanti a questo proposito.
"12.337 sono gli euro lordi del salario d’ingresso di un ricercatore in Italia, vale a dire di un giovane con 0-4 anni di esperienza che usufruisce di una borsa di dottorato o post-doc. Poi, spesso, i quattro anni diventano pure sette o otto, con borse o contratti che affogano nel precariato più cupo.
E adesso diamo i numeri degli altri: un “neo-ricercatore” guadagna (sempre al lordo) 51.399 euro in Norvegia, 42.528 in Danimarca, 39.599 in Svizzera. Ma anche se abbandoniamo questi paradisi e ci confrontiamo con paesi più vicini a noi sono sempre: Austria, 35.836 euro; Francia 28.191; Gran Bretagna, 24.607; Germania 24.515. Ci supera anche la Spagna (dove però il potere d’acquisto degli stipendi è un tantino più alto…), con 13.988 euro all’anno. E ce la battiamo con Grecia (12.112), Lituania (10.478) e Repubblica Ceca (9.881)".
Auguriamoci almeno di fare il pieno di ricercatori dalla Lituania e dalla Repubblica Ceca...

domenica 26 agosto 2007

International Migration, Remittances and the Brain Drain

On October 24, 2005, the Research Program published its first major work on migration, a book entitled International Migration, Remittances and the Brain Drain. This volume contains four country case studies on the impact of remittances on poverty and expenditure patterns, and four chapters on the brain drain, including the largest existing data base on the brain drain, and analyses of the brain gain, brain waste, and the impact on productivity in destination countries. The book was co-edited by Maurice Schiff and Caglar Ozden.
Table of Contents & sample chapter:
Table of Contents (pdf - 75k)
Chapter 1 (pdf - 225k) Determinants of Migration, Destination, and Sector Choice: Disentangling Individual, Household, and Community Effects - Jorge Mora and J. Edward
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sabato 25 agosto 2007

Fuga dei cervelli al contrario ora l´America teme la Cina

Pechino diventa la nuova frontiera della ricerca tecnologica. Sempre meno scienziati asiatici scelgono la Silicon Valley
Fuga dei cervelli al contrario ora l´America teme la Cina
Torna in patria Chen, padre del supercomputer Usa
Federico Rampini, La Repubblica, 14 novembre 2004

SAN FRANCISCO - Trent´anni dopo aver varcato il Pacifico in senso inverso, compiuti i sessanta Steve Chen ha deciso di voltare le spalle alla Silicon Valley californiana e stabilirsi a Shenzhen, giovanissima metropoli della Cina meridionale. Il suo non è certo il primo esempio di emigrazione di ritorno, da quando il boom economico ha fatto della Cina la «nuova frontiera» del capitalismo. Ma la scelta dello scienziato sino-americano è un caso speciale che preoccupa gli Stati Uniti più di ogni altro.
Perché Chen è uno dei «padri» dei supercomputer prodotti in pochi esemplari all´anno, cervelloni ad alta potenza usati nella ricerca scientifica più avanzata e spesso per scopi militari.
La partenza di un talento che era stato conteso dalla Cray e dalla Ibm è una perdita strategica per gli Stati Uniti, tanto più perché se ne avvantaggia un rivale come la Cina. Il caso Chen è la punta di un iceberg. Sotto c´è una tendenza di massa. La fuga dei cervelli, che un tempo era a senso unico e cioè sempre verso l´America, improvvisamente sta cambiando segno. Quest´anno per la prima volta il numero di studenti e ricercatori cinesi e indiani nelle università americane è in discesa: grazie al miracolo economico asiatico, per loro rimanere in patria è diventata un´alternativa attraente. Craig Barrett, per anni numero uno della Intel, che è il leader mondiale dei microchip, ammette che «i cinesi sono ormai alla pari con noi nell´ingegneria, nel software, ad ogni livello di management». Adam Segal, esperto della Cina al Council on Foreign Relations di Washington, scrive su Foreign Affairs che «alla velocità con cui la capacità di innovazione attraversa il Pacifico, gli Stati Uniti non possono più dare per scontato che rimarranno l´epicentro della scienza e della tecnologia».
L´allarme sulla partenza di Chen è stato lanciato dal New York Times. Traspare la paura dell´intelligence militare americana per l´uso che la Cina potrebbe fare dei supercomputer nello sviluppo di nuovi armamenti, più competitivi con gli arsenali hi-tech del Pentagono. Ma anche nelle applicazioni civili i supercomputer sono spesso «l´arma segreta», lo strumento che per potenza di calcolo consente all´università e all´industria Usa di bruciare la concorrenza nelle scoperte di fisica, chimica, ingegneria o biogenetica. Dei 500 supercomputer più potenti del mondo, la maggioranza è in America. Ma da quando Chen ha cominciato a lavorare per la Cina (a giugno), con il suo aiuto è stato prodotto a Shanghai un supercomputer che è il decimo del mondo per velocità. La Cina ora ha 14 supercomputer classificati fra i top 500 mondiali, ha già raggiunto la Germania al quarto posto in questo settore, e al ritmo con cui si rafforza è pronta a superare Giappone e Gran Bretagna per collocarsi dietro l´America.
Chen non è né una spia né un traditore al soldo di Pechino. Cinese etnico, è nato però a Taiwan da dove partì trentenne nel 1975 per conseguire un dottorato di ricerca in informatica negli Stati Uniti. Già negli anni '80 balzò al top della sua professione, diventando uno dei massimi progettatori di supercomputer, con una carriera passata fra le migliori università e l´industria privata (Cray research, Supercomputing Systems, Ibm). Non c´è una motivazione politica o nazionalistica dietro la sua partenza, del resto ha lasciato la moglie americana e i figli a vivere sotto il sole della California a San Jose. Niente scelta di campo. Semplicemente, Chen per realizzare i suoi ultimi progetti ha trovato più finanziamenti e opportunità di sviluppo in Cina. Incredibile a dirsi, nel centro mondiale del venture capital che è la Silicon Valley, faceva più fatica a trovare i fondi e gli uomini giusti. Li ha trovati alla società Galactic Computing di Shenzhen, finanziata da venture capital di Hong Kong e sostenuta da un gruppo di università tecnologiche cinesi.
Insieme all´allarme per il caso-Chen, l´America sta scoprendo il fenomeno più vasto. Dopo aver beneficiato per decenni del brain-drain, l´attrazione di cervelli dall´estero, il sistema universitario americano perde colpi. In parte la causa è l´11 settembre e il Patriot Act, il giro di vite sui visti che complica la vita a chiunque voglia emigrare negli Stati Uniti, anche ricercatori, scienziati e imprenditori. In parte è il deficit federale accumulato da Bush che comincia a tradursi in tagli ai finanziamenti per le università pubbliche. Ma c´è una terza causa che riguarda i paesi asiatici. Le loro economie stanno crescendo a una velocità nettamente superiore al resto del mondo (+9% la crescita annua del Pil cinese negli ultimi quattro anni, +8% l´India), lo sviluppo tecnologico è così intenso che per i talenti migliori emigrare in America non è più l´unica opzione. Le statistiche degli atenei sono eloquenti. Nell´autunno di quest´anno le domande presentate da laureati cinesi per iscriversi a corsi post-universitari negli Stati Uniti (master e Ph. D.) sono crollate del 45% rispetto all´anno accademico 2003-2004. Per gli indiani il calo nelle richieste è stato del 28%.
Per il sistema universitario americano - e quindi per la competitività del capitalismo Usa - è un segnale di pericolo. Da decenni l´afflusso di studenti asiatici aveva alimentato gli Stati Uniti di forze fresche, qualificate e competitive, soprattutto nei settori scientifici. Era stata coniata una definizione, ironica ma efficace: «I migliori campus americani sono quei luoghi dove anziani professori ebrei trasferiscono il sapere nella matematica, fisica e biologia a giovani studentesse cinesi». La realtà non è molto lontana da quell´immagine. Sia perché i licei americani non sono all´altezza delle università, sia perché da tempo i figli della borghesia americana preferiscono fare gli avvocati o entrare in una merchant bank, l´America è perennemente a corto di scienziati, ingegneri, chimici e informatici. Finora il gap è stato colmato dall´immigrazione asiatica. Foreign Affairs cita un dato impressionante: oggi in America il 38% degli scienziati e degli ingegneri con un dottorato di ricerca (Ph. D.) sono nati all´estero. Per la maggior parte sono cinesi, indiani, coreani. Già negli anni '90 nella Silicon Valley l´economista Annalee Saxenian aveva censito un terzo di start-up tecnologiche create da neo imprenditori col passaporto asiatico. Se viene meno questa risorsa, le conseguenze saranno profonde.
La Cina da parte sua non fa altro che imitare il modello americano. Pur essendo un paese emergente, fa sforzi eccezionali negli investimenti scientifici: in cinque anni i finanziamenti pubblici che Pechino dedica alla ricerca e sviluppo sono passati dallo 0,6 all´1,5% del Pil, superando il livello di molti paesi europei. Nel settore privato, un aiuto non marginale glielo fornisce la stessa industria Usa. Negli ultimi anni i big dell´industria tecnologica americana delocalizzano in Cina non solo le fabbriche ma anche i centri di ricerca, cioè posti di lavoro per scienziati. Microsoft, Intel, Ibm, Motorola, Bell Labs, sono alcuni grandi nomi del sistema America che ormai hanno in Cina centri studi, laboratori sperimentali, uffici di design e progettazione dove assumono matematici, fisici, ingegneri. Adam Segal del Council on Foreign relations non ha dubbi sulla serietà della minaccia: «La leadership globale degli Stati Uniti dipende in larga parte dalla nostra capacità di sviluppare nuove tecnologie e nuove industrie più velocemente di qualsiasi altro paese al mondo. Oggi però la Cina ha già guadagnato un terreno decisivo in tecnologie avanzate come i laser, la biochimica, i nuovi materiali per i semiconduttori, l´aerospaziale. Il nostro vantaggio, che davamo per scontato, forse ci sta sfuggendo».

martedì 21 agosto 2007

Storia d'amore per la scienza e la ricerca

E' difficile non sentirsi per un attimo il pianista di Baricco che dalla sua nave vive molteplici vite e visita il mondo negli occhi e tra le emozioni di chi racconta la sua storia d'amore per la scienza e la ricerca.
Così tra le righe di Storie di Cervelli erranti, è facile trovarsi a fantasticare di viaggiare per il mondo. Sentirsi accolti in terra straniera per la volontà di scienza, estranei in terra propria per il bisogno di capire il mondo, di tracciare una rotta per la Nuova Atlantide Bacconiana.
Le storie sembrano viaggiare sul filo di un'unica scenografia, stregoni cattivi e pozioni magiche servono a superare quelli che sono gli ostacoli di una concezione di ricerca che non permette di sviluppare le potenzialità di una soluzione in terra di origine, poi la resurezione che è sempre o quasi targata estero.
Risulta piacevole conoscere storie di nostri conterranei, nella lettura sembrano più vicini, e diventa possibile impersonare l'eroe che più rispecchia le nostre aspettative di giovane studente o di adulto padre.
Così, davanti all'enigma, la sensazione "cervelli erranti lontani", "so far" ma vicini nel dna, come un saggio amico a cui poter chiedere ausilio nel bisogno insperato di un incantesimo, che i nostri stregoni locali ancora cercano di risolvere con tante armi ma senza vere pozioni ...costano troppo!!!!!
Emanuela Serra, presidente Associazione Sindrome di Crisponi

lunedì 20 agosto 2007

Dall’hockey alle ricerche sull’energia a basso costo

Michele Saba giocatore della grande Amsicora e punta di diamante degli studi avanzati sui nuovi materiali
Di Giacomo Mameli
La Nuova Sardegna, 20 agosto 2007, Pagina 6

Da campione nello sport (ha giocato come difensore nell’Amsicora del mito, la squadra italiana più titolata nell’hockey su prato) ad attaccante di punta della ricerca scientifica, quella che lo ha portato alla ribalta nelle pagine di riviste come “Nature”, “Science” e “Physical Review”.
Perché lui, Michele Saba, cagliaritano di 32 anni, con dna fra il Logudoro di Ozieri e i graniti di Santa Teresa di Gallura, oggi lavora tra laser e glove boxes in una stanzetta a pochi metri dal pendolo di Foucault, biglietto da visita del dipartimento di Fisica della cittadella universitaria di Monserrato. È qui anche nella settimana di ferragosto in compagnia di un ricercatore livornese, Francesco Quochi, di un laureando oristanese in Scienza dei materiali (Andrea Cadeddu) e una dottoranda polacca, Agnieszka Gocalinska. Per capire che cosa avviene fra questi laboratori occorrerebbe una cassetta di attrezzi scientifici difficile da reperire al supermarket. Ma basta far parlare questo giovane studioso finito tra gli “Scienziati di ventura” (editore Cuec) di Andrea Mameli e Mauro Scanu, nelle pagine di Nova del Sole 24 Ore che già se ne era occupato due anni fa (25 marzo 2005) con un’apertura a sette colonne e un titolo che suonava così: «Al Mit creo i laser del futuro».
Il soggetto era lui, Michele Saba. E il Mit - si sa - è il Massachusetts institute of technology di Boston dove Saba ha avuto come insegnanti il premio nobel per la Fisica Wolfgang Ketterle e Dave Pripchard, guru della fisica professore di altre cinque stelle insignite ugualmente del nobel. Saba si è formato fra quelle pareti ma - alla fin fine - riporta tutto al campo di hockey dell’Amsicora quando era più giovane. «Nello sport devi vincere, devi puntare a conquistare le vette della classifica. Dobbiamo avere la stessa carica nella ricerca scientifica, puntare all’eccellenza che dipende dal lavoro senza soste, dalla passione, dalla continuità negli allenamenti da una parte, negli esperimenti dall’altra. Per lo studio devi seguire lo stesso metodo». Ed ecco un esempio che calza: «I giocatori dell’Amsicora -i Raggio, i fratelli Giuliani, i centrocampisti Medda - sono nati attorno al rione dove c’è lo stadio, fra il Quartiere del Sole e Sant’Elia. Nella ricerca scientifica è troppo comodo importare i cervelli dal di là delle Alpi. No, il vivaio dev’essere domestico, devi lavorare con chi è nato qui, farlo crescere, massacrarlo di allenamenti per gareggiare con le eccellenze del mondo».
Dopo i laser sulle sponde dell’Oceano Atlantico è arrivata - davanti al Golfo degli Angeli del Mediterraneo - l’optoelettronica con materiali innovativi. «Studiamo coma assorbire la luce in maniera sempre più rapida ed efficiente con nuovi materiali». Siamo sostanzialmente nel campo dei pannelli solari. «Oggi costano troppo, è necessaria troppa energia per fabbricarli. Ci arrivano dalla California, dal Giappone, dalla Germania. Il nostro obiettivo di studio è come creare i pannelli solari con un costo monetario ed energetico molto ma molto più basso di quello attuale. Perché l’energia prodotta serve appena per ripagare l’energia che è stata necessaria per la loro fabbricazione. È il cane che si morde la coda. Ecco, noi qui a Cagliari studiamo per trovare materiali che abbiano un ritorno energetico immediato, è la sfida del futuro. In questo progetto abbiamo il sostegno delle autorità regionali che stanno comprendendo - finalmente - che investimenti di questi tipo non possono avere una ricaduta domani mattina all’alba. La ricerca scientifica è problema a lungo termine».
E in una Sardegna, dal Limbara al Gennargentu, fino ai monti del Sulcis - invasa da pietre di basalto, di porfido, di calcare, di granito - si può utilizzare l’energia che assorbono?
«Certamente, l’energia termica del sole sicuramente si può sfruttare, è una delle frontiere della ricerca fisica e ingegneristica dei nostri giorni. Tanto a Cagliari quanto a Boston».
Non è da tutti approdare al Mit a 28 anni. Occorre l’allenamento della mente. Per Michele Saba - nato nella clinica sant’Anna di Cagliari - scatta nelle aule delle scuole elementari della Madonna del Carmine con maestra Maria Puddu (“affettuosa e severa, ne avevo una grande devozione”). Il padre, Franco, ozierese, è un ispettore forestale. La mamma, Francesca Becciu, è originaria di Pattada ma nasce a Santa Teresa. Finanziere anche il nonno materno, Gavino. Quello paterno, Andrea, allevatore di mucche al pascolo nelle tanche verso Buddusò. La famiglia mette radici a Cagliari e Michele prosegue le scuole medie al collegio della Missione di piazza Garibaldi. Ginnasio e liceo classico al Dettori, quello di Antonio Gramsci. Maturità con sessanta sessantesimi. Si iscrive in Fisica e dopo quattro anni (110 summa cum laude) è laureato. Tesi incomprensibile per i comuni mortali (cronisti in primo luogo) perché si occupa delle “oscillazioni eccitone-fotone in microcavità a semiconduttore”. Testo a fronte, tra virgolette, rigorosamente dettate da Saba: «La tesi tendeva a dimostrare come l’energia della luce può essere immagazzinata da un dispositivo in maniera reversibile». È necessario approfondire e si comincia a capire meglio: «Prendiamo il calore della carrozzeria di un’auto sotto il sole. Quel calore oggi va del tutto disperso. Noi studiamo il modo col quale può essere utilizzata». I suoi maestri sono due fra i docenti più apprezzati delle facoltà scientifiche dell’ateneo cagliaritano, Giovanni Bongiovanni e Andrea Mura. «Loro, oltre alle competenze fisiche, mi hanno fatto capire che il mondo non finisce sulla porta di casa». Ed ecco Michele Saba al Politecnico di Losanna già prima della laurea. Ci torna a studi ultimati «perché stavo cercando un dottorato e lo trovo al Politecnico di Losanna. Ma non sono scappato: no, avevo necessità di fare altre esperienze. Mi seguono i professori Jean Louis Staehli e Benolt Deveaud Plédran. Ho avuto subito grande autonomia, potevo coordinare un gruppo di studio».
Immediati i confronti con Cagliari. «Anche da noi ci sono laboratori buoni ma difficilmente un dottorando agisce per conto suo, poi lì c’erano a disposizione più soldi. E qui capisco che la ricerca sarebbe stata il mio futuro». Rientra in Sardegna, sposa Valeria Axiana, di Sinnai con origini di San Vito nel Sarrabus, studentessa in Giurisprudenza. Mette casa a Sinnai, in periferia, verso Maracalagonis, nasce Leonardo (oggi ha quattro anni). A febbraio del 2003 il grande salto per il Mit, («Losanna mi aveva preparato nel modo giusto»), ed eccolo al Research Laboratory of Electronics, più esattamente al Center for ultracold atoms a «studiare le interazioni tra luce e materia, ad approfondire le affinità di comportamento fra l’una e l’altra». Seguono tre anni di attività intensa. Ottimi collaboratori, autonomia finanziaria, ottimo il rapporto con i docenti. Ad Andrea Mameli e Mauro Scanu (gli autori di «Scienziati di ventura, storie di cervelli erranti tra la Sardegna e il mondo») dice: «Tutti i giovani venivano incoraggiati a prendere iniziative e responsabilità, ogni contributo originale era salutato con entusiasmo. La leadership viene stabilita col merito e la capacità, non con la gerarchia o con l’anagrafe. Vivo insomma nel paradiso terrestre dei ricercatori». Non solo ricerca. Sport, gite, cinema e tanta lettura: i quotidiani italiani on line, il New York Times e Newsweek, divora i testi di Michael Crichton (Andromeda, Jurassic Park, Timeline) e del premio Pulitzer Jared Diamond, non si perde mai Stefano Benni. Ma, soprattutto, tanti atomi, tanta luce, fotonica come era in principio. Entusiasta del suo lavoro. «Parliamo di fibre ottiche. Quando invio una mail non faccio altro che spedire luce attraverso una fibra ottica. Il vantaggio della luce consiste nel fatto che può trasportare una sequenza binaria di 1 e zero incomparabilmente più grande rispetto alla capacità di un normale filo metallico». Spiega, per far capire: «Anziché utilizzare la materia per assorbire la luce usiamo la luce per muovere la materia sotto forma di atomi. L’obiettivo è quello di fermare il moto termico degli atomi utilizzando la forza esercitata dalla luce degli atomi stessi». C’è da chiedersi, certo con umiltà e consapevolezza di ignoranza scientifica, se tutto ciò sarà utile all’uomo, a zia Teresa e Francesca. Risposta cattedratica ma decisamente chiara: «Con queste nuove forme di materia a temperature prossime allo zero assoluto si possono costruire sensori inerziali estremamente precisi che possono essere utilizzati in esplorazioni spaziali, sottomarine, geologiche. Il Gps, il navigatore installato in molte auto, è collegato a un satellite. Anche gli aerei, le navi funzionano grazie a sistemi satellitari. Pensiano poi ai grandi progressi nella diagnostica medica. Tutto è fisica, tutto è studio degli atomi. Quindi una ecografia, una risonanza magnetica, il volo in aereo o la gita in nave sono utili anche a zia Teresa e Francesca. Tutta la ricerca è indirizzata a favore dell’uomo».
Qual è lo stato dell’arte, di questa arte-fisica, in Sardegna? Michele Saba è abbastanza chiaro e netto: «Ci sono tanti buoni ricercatori e tanti bravi studenti con qualche struttura di vera eccellenza. È un bel salto in avanti. Si tratta solo di sapere se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto. Io preferisco quest’ultima immagine perché mi stimola a lavorare, a riempirlo, a far di più. E in Sardegna non solo si può ma si deve fare di più». Ma gli ostacoli non mancano: «Io li individuo nella piaga autentica dell’inefficienza di qualsiasi istituzione pubblica e ciò fa sì che i pochi denari a disposizione siano amministrati male e in forma arbitraria. Ciò mette insieme alla sbarra gruppi dirigenti politici e burocratici. Non ci sono ancora - anche all’interno dell’università - criteri comuni e concordati per la redistribuzione delle risorse. Soprattutto - e ciò ci differenzia molto dal mondo scientifico più avanzato - manca una valutazione del risultato conquistato o del fallimento ottenuto. Ciò è semplicemente assurdo perché non si individua il responsabile. A nessuno puoi contestare colpe o meriti perché manca un responsabile vero e unico». Pessimista allora? «No. Sono rientrato perché qui voglio lavorare, perché sono tante le potenzialità della Sardegna: La nostra ricerca sui pannelli solari può dare risultati utili, certi non domani all’alba. In questo noto un miglioramento: perché la classe politica più avveduta ha capito che la ricerca non può avere ricaduta a breve ma a medio e lungo termine. Da altre parti i successi sono giunti. Perché lo stesso non può avvenire da noi?». Non potreste ricavare energia dalla pietre che in Sardegna abbondano, dal Limbara al Gennargentu fino ai monti del Sulcis? «Certamente. L’energia termica del sole sicuramente si può sfruttare. È una delle frontiere della ricerca fisica e ingegneristica dei nostri giorni. Dovremmo avere una classe dirigente più motivata, in Consiglio regionale un solo ricercatore di eccellenza non basta, ce ne vorrebbero, dieci, venti e le cose cambierebbero in un battibaleno».
Uscendo da questi laboratori di Fisica si può anche concludere con note positive: «I cervelli sardi possono rientrare ma prima devono aver fatto all’estero esperienze importanti e non di un week-end. Perché parlare di un ricercatore che torna dev’essere la norma non l’eccezione. I giovani sono oggi di buona qualità, vedo un trend positivo. La ricerca deve essere davvero di eccellenza. Ma occorrono i valutatori: sarebbe disastroso non mettere tutti sotto esame, incentivare i capaci, eliminare gli incapaci, i burocrati della ricerca che non fa muovere un passo in avanti alla Sardegna, all’Italia». Parola di Michele Saba, cagliaritano-logudorese rientrato dal Mit di Boston alla cittadella della Fisica di Monserrato. La sua ricetta è netta: «Premiare i capaci, accumulare conoscenze e competenze».

domenica 19 agosto 2007

"Rosaria Piga - Japan"

Piga Japan Ho visto e letto l’articolo su Cagliari pubblicato sul New York Times del 12 agosto 2007 e non ho potuto fare a meno di sentire una punta d’orgoglio per le mie origini. Una punta d’orgoglio soprattutto per un articolo dedicato interamente a Cagliari, associato ad un articolo dedicato alla Sardegna, che quindi non è stata (come al solito) etichettata come Sardegna = Costa Smeralda. Niente togliendo alla Costa Smeralda, né rinnegando la Costa Smeralda come se fosse un luogo che non faccia parte della regione da cui provengo, sono sarda, oltre che cagliaritana e non riesco ad andare oltre un giudizio per niente obiettivo e totalmente di parte che mi fa sempre asserire che la Sardegna è tutta bella. Semplicemente non è l’unico luogo degno di nota, ha perso parte della sua autenticità sia paesaggistica che umana e per questo motivo mi pare poco idonea a rappresentare tutta l’isola e tutti i sardi.
Ma se è vero che attualmente mi trovi a vivere in un paese dove la Sardegna, comprensibilmente per motivi di distanze geografiche, sia poco conosciuta, ancora meno conosciuta è Cagliari, che già pronunciarla ai giapponesi viene in salita. Inutile dire che questo abbia fatto si che mi sentissi investita dalla grande responsabilità nonché arduo lavoro di divulgare ad ogni giapponese che avesse un qualche contatto con me, le bellezze e le tradizioni della mia regione partendo proprio da Cagliari, spaziando per la sua provincia, per finire con il pubblicizzare anche le altre.
Ai miei occhi quindi, l’articolo del NYT non decreta le bellezze e la preziosità della mia città, è un articolo che, riconoscendone la bellezza e la preziosità intrinseche, semplicemente le divulga con una dialettica piacevole e scorrevole che rende onore a Cagliari al punto da far venire una voglia tremenda di visitarla a chiunque non l’abbia ancora fatto, voglia tremenda di interessarsene a tutti coloro che non ne conoscevano l’esistenza. Agli occhi degli altri che non sono sardi, per quanto il mio orgoglio di sarda non mi permetta di ammetterlo, un articolo su una rivista internazionale come il NYT, oltre che renderci onore ed omaggio, ha l’indubbio potere di confermare e dare credibilità a tutto il mondo quello che noi sardi divulghiamo. Se quindi è vero che ogni giapponese che io abbia conosciuto, a cui abbia parlato di Cagliari, della sua provincia e dell’intera isola, abbia ascoltato con grande interesse ogni mia parola prendendo atto senza più scordarsene che anche la Sardegna faccia parte dell’Italia e valga la pena dedicarci attenzione, e’ anche vero che sventolare a tutti l’articolo sul NYT mi abbia non solo resa orgogliosa che la mia città fosse finita proprio tra le pagine di questo giornale, ma ha anche definitivamente decretato fra i giapponesi che mi conoscono, la bellezza non sottovalutabile di questa città nell’ambito del contesto mondiale.
Due piccole parentesi a proposito di orgoglio delle proprie origini.
A fine novembre a Kyoto ci sara' un grosso congresso internazionale sul ruolo dei fattori alimentari nella cura e/o prevenzione di malattie legate allo stress ossidativo (cancro, diabete, aterosclerosi, invecchiamento precoce e così via) del quale il laboratorio cui appartengo ne è l'organizzatore, con il mio boss in testa. Ho provato una leggera amarezza nel vedere nel programma del congresso quel "Rosaria Piga - Japan", ma tant'è che è proprio così, al Giappone professionalmente devo tutto, professionalmente non appartengo all'Italia e la cosa più amara è che all'Italia non gliene frega niente e non glien'è mai fregato niente. I giapponesi invece ne sono orgogliosi, vedendo come i risultati si stanno arricchendo, sono orgogliosi che tutto questo ben di dio verrà esposto al "nostro" congresso internazionale con gente che viene da tutto il mondo, in cui una donna italiana partecipa con la bandiera giapponese e fa parte dello staff del laboratorio organizzatore. Non avrei mai detto che avrei girato con la bandiera giapponese, io sono orgogliosa di essere italiana, sarda ancor di più, ma l'Italia del mio orgoglio cosa se ne fa, dove se lo mette?!? Non si vergogna di tutto questo?
Per motivi che non sto a descrivere, mi sono dovuta interessare a conoscere lo stipendio medio di determinate categorie professionali in Giappone. La figura professionale da noi identificata come operatore ecologico, in Giappone guadagna quanto un ricercatore italiano, tanto per intenderci il valore che ci danno nel nostro paese ed il valore che invece danno in Giappone sia al ricercatore che all’operatore ecologico. Niente togliendo a quest’ultimo, un lavoro onesto e dignitoso come tutti gli altri ma la cui preparazione professionale non richiede lauree, dottorati, specializzazioni e training all'estero.
Rosaria Piga, Kyoto, Giappone

lunedì 13 agosto 2007

Ci scrive Marco Atzori dal Texas

E' un'ottima miniatura. La scelta dei protaginisti non poteva essere piu oculata, ed è per me un piacevole tuffo in realtà per me sconosciute, vedere la varietà, oltre alla qualità dei nostri concittadini espatriati... sorprendente, ma magari non dovrei essere così sorpreso. I sardi non son mai stati intellettualmente indietro a nessuno. Se dei problemi ci sono ora come nel passato sono stati principalmente sulla gestione del sociale, inimicizie, rivalità, faide, campanilismi, tutti fattori che avvelenano oggi come nel passato il quotidiano di molta gente. Sembra che sardo non sappia godere del successo del vicino, talvolta nemmeno di quello di suo fratello. Il commento di Palombini è molto lucido. Palombini è persona raccomandabile per proporre le modifiche strutturali di cui lui stesso parla, e sembra avere la statura tecnica e morale per parlare del problema e una buona visione della soluzione. L'unica nota stonata mi è parsa l'introduzione di Gessa, che, ad onor del vero, aveva la non facile parte di rappresentare il sistema, in un libro che è una critica aperta del sistema che non funziona. Purtroppo Gessa non solo non è riuscito a proporre una analisi lucida del problema, ma, cosa ancora peggiore, non è nemmeno riuscito a distaccarsi dal sistema che - volente o nolente - rappresenta.
Beninteso, non voglio (ne potrei) entrare nel merito dei dettagli del calibro accademico di Gessa e/o dei suoi allievi. Piuttosto noto da parte sua una mancanza di lucidità nella discussione del problema. Non posso non menzionare inoltre un commento suo, riferito a una mia frase sulla ricerca di casa vicino al lavoro (io sono stato l'unico a menzionarlo). Gessa pone un punto esclamativo tra parentesi (!) accanto alla mia considerazione. Confesso di non aver capito il significato del punto esclamativo. Alcuni lo potrebbero interpretare come un riferimento all'assurdità della richiesta di trovare nientepocodimeno che una casa vicino al lavoro (richiesta assurda e inaccettabile, che stranamente son riuscito a soddisfare in 9/11 anni di lavoro all'estero). Io preferisco temporaneamente interpretare il punto esclamativo come "e' ovvio che un buon docente universitario deve potersi permettere una casa vicino al lavoro, e tutti i docenti universitari, prima o poi, la avranno, ad un prezzo ragionevole"... :)
Colgo l'occasione per darvi un altra idea dell'atteggiamento dei nostri cattedrattici sardi, con esempio nelle neuroscience, che è il mio campo. Recentemente ho editato un libro (lo trovate su Amazon.com) con un mio collega di Chicago (Kuei è cinese-argentino). Ovviamente abbiamo cercato di contattatare come contributors i luminari nel campo, ottenendo la gran maggioranza di gente che ha voluto contribuire e qualcuno ha detto di no, per vari motivi, tipicamente per overcommitment. Solo uno tra loro non ci ha nemmeno degnato di risposta. Vi dico solamente che mi sono vergognato che l'unico sardo che abbiamo contattato, è stato l'unico a comportarsi come molti direbbero, da vero cafone.
Vorrei concludere con un invito e una considerazione: non credete a chi vi dice che non bisogna prendere quello che succede sul lavoro personalmente: tutto quello che succede è personale, nel senso che i portagonisti delle vicende, alla fine, sono delle persone. La ricerca nell'università sarda (italiana?) potrà cambiare solo quando i professori universitari non saranno più rappresentati in abbondanza in Parlamento. Sono gli universitari in Parlamento che non hanno nessun interesse a demolire un sistema che li ha messi in cattedra prima, e al Parlamento dopo.
Vi lascio con questo "food for thought", cosi come il vostro libro lo è
stato per me.
Un caro abbraccio, in bonora
Marco

Marco Atzori (Associate Professor. University of Texas at Dallas. School for Behavioral and Brain Sciences) http://bbs.utdallas.edu/lcsp/

sabato 11 agosto 2007

Fuga di cervelli su Wikipedia

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera: "Fuga di cervelli" (in inglese, Brain Drain) è un'espressione che sta ad indicare propriamente il fenomeno per cui, in Europa, sempre meno giovani si avvicinano allo studio delle discipline scientifiche, specialmente ad alto livello. In un'altra accezione si intende il fenomeno dell'emigrazione, verso paesi stranieri, di persone di talento o ad alta specializzazione professionale. Tale termine, riferito al cd. "Capitale umano" rievoca quello di "Fuga di capitali", che designa il disinvestimento economico da ambienti non favorevoli all'impresa.
Cause
Le cause di ciò vengono individuate nel modo in cui la scienza è insegnata nelle scuole, nella complessità delle materie, e nell’apparente scarsità di prospettive di carriera attraenti. Tale fenomeno è preoccupante perché suscettibile di rallentare il progresso tecnologico europeo e lo stesso ricambio della classe docente.
Il significato in Italia
In Italia, l'espressione è spesso abusata (cd. Cervelli in fuga) per stigmatizzare il fatto che i giovani neo laureati, dottorati e ricercatori italiani vadano a lavorare in università e centri di ricerca stranieri, soprattutto statunitensi. Tale fenomeno non è in sé negativo: la classe accademica mondiale è altamente globalizzata e i grandi centri studi sono luoghi di raduno di persone provenienti da molti paesi diversi. La mobilità degli studiosi, fenomeno del resto comune fin dagli albori delle università (lo stesso termine università, indicava infatti le comunità di studenti di diversi paesi), è in sé un fattore di arricchimento culturale e professionale, perché la ricerca non conosce frontiere; è vero semmai che il saldo tra studiosi che lasciano l'Italia e stranieri che vi si trasferiscono è sfavorevole, in quanto in Italia la ricerca è sottofinanziata. Se, dunque, alcuni dei ricercatori italiani che decidono di recarsi all'estero lo fanno per sfuggire a mali propri dell'Università italiana - quali baronie, nepotismi e clientelismi, che rendono le procedure di reclutamento e di carriera poco trasparenti - la maggior parte di essi è semplicemente attratta dalle migliori opportunità economiche offerte da paesi più ricchi. La borsa di studio per un dottorato di ricerca in Italia è oggi di 840 euro mensili, rispetto ai 1100 euro mensili della Germania, ai 1500 euro della Svezia, ai 4000 dollari degli Stati Uniti. I laureati più brillanti trovano facilmente lavoro presso grandi università e centri di ricerca stranieri, con livelli di retribuzione adeguati ed interessanti prospettive scientifiche. Di conseguenza, non di "fughe" si tratta, ma di una normale mobilità verso occasioni retributive e professionali più allettanti.

Brain drain. From Wikipedia, the free encyclopedia
A brain drain or human capital flight is an emigration of trained and talented individuals ("human capital") to other nations or jurisdictions, due to conflicts, lack of opportunity, health hazards where they are living, discrimination or other reasons. It parallels the term "capital flight" which refers to financial capital that is no longer invested in the country where its owner lived and earned it. Investment in higher education is lost when a trained individual leaves and does not return. Also, whatever social capital the individual has been a part of is reduced by his or her departure. Spokesmen for the Royal Society of London coined the expression “brain drain” to describe the outflow of scientists and technologists to Canada and the United States in the early 1950s. Its counterpart is brain gain in the areas to which talent migrates. Brain drain can occur either when individuals who study abroad and complete their education do not return to their home country, or when individuals educated in their home country emigrate for higher wages or better opportunities. The second form is arguably worse, because it drains more resources from the home country. This phenomenon is perhaps most problematic for developing nations, where it is widespread. In these countries, higher education and professional certification are often viewed as the surest path to escape from a troubled economy or difficult political situation.

giovedì 9 agosto 2007

Israele e le fughe di cervelli

Articolo pubblicato dal Jerusalem Post, edizione on line, il 22 luglio 2007 ore 21:32 locali (aggiornato il 23 luglio 2007 alle ore 9:52 locali). Titolo: Absorption Ministry to fight brain drain with new funding. Autore: Rory Kress. Traduzione e adattamento dall'inglese a cura della redazione di Cronache Israeliane.
Il Ministero per l’Assorbimento degli Immigranti allocherà 2.25 milioni di shekel [circa 500.000 euro] per lottare contro la "fuga dei cervelli" che ha visto scienziati e altri professionisti israeliani di grande valore lasciare Israele per posti di lavoro più attrattivi all’estero. Il nuovo finanziamento creerà posti per la ricerca scientifica per gli immigranti nei ministeri delle Infrastrutture, della Protezione ambientale e della Difesa.
Israele ha la più alta percentuale di fuga di cervelli al mondo, con l’8.5% di immigranti all’anno. I finanziamenti consentiranno l’impiego di decine di nuovi scienziati appena immigrati, attribuendo loro l’opportunità di dare un contributo vitale in prima linea allo sviluppo scientifico israeliano.
Un totale di 1.5 milioni di shekel è stato allocato al Ministero per la Difesa, 600'000 shekel a quello delle Infrastrutture, e 500.000 a quello della Protezione ambientale per assorbire gli scienziati di recente immigrazione nella nuova ricerca. Questi fondi hanno già permesso centinaia di progetti di ricerca negli ultimi anni.
Secondo il Ministero per l’Assorbimento degli Immigranti, dagli anni ’90 sono immigrati in Israele 16.000 scienziati. 10.000 di questi sono stati assorbiti con successo dal Ministero attraverso l’impiego in posti di ricerca sia nelle industrie miliari che in quelle civili.
A causa dei tagli di budget, il programma era stato sospeso. Comunque, il Direttore Generale del Ministero Erez Chalfon ha lottato per mantenere il programma proprio a causa della continua fuga di cervelli.
"Non stiamo cercando di portare via gente alla Intel o alla Dell. Stiamo solo cercando di dare lavoro ad un chimico che può fare della ricerca o ad un ingegnere che vuole progettare un edificio”, ha detto il Direttore per il Centro dell’Assorbimento nelle Scienze, Omri Ingber, nel corso di un’intervista telefonica.
Esempi di progetti con ricercatori immigrati in corso quest’anno hanno incluso la preparazione di piani di intervento in caso di terremoto, il riciclaggio e il trattamento delle acque reflue, e la prevenzione dell’inquinamento delle falde acquifere.


Articolo pubblicato dal Jerusalem Post, edizione on line, il 17 luglio 2007 alle ore 20:29 (aggiornato il 17 luglio 2007 ore 23:22 locali). Titolo: 'Brain drain' of Israeli academics is rising. Autore: Judy Siegel-Itzkovich. Traduzione ed adattamento dall'inglese a cura della redazione di Cronache Israeliane.
Il tasso di studenti israeliani dottorandi o in post-dottorato che lavorano e studiano all’estero (che sono migliaia) sta aumentando, secondo quanto affermato dalla Israel Academy of Sciences and Humanities, che ha condotto un sondaggio attraverso il suo sito web per scoprirne i motivi.
Famiglia, cultura, educazione dei figli e il trovare un ambiente professionale confortevole per il proprio lavoro sono i principali “fattori di traino” che potrebbero riportarli a casa, ma le considerazioni politiche e di sicurezza, le condizioni salariali e di vita sono tra quelli che li trattengono dal ritornare, come ha mostrato il sondaggio, che era stato postato nel sito web lo scorso febbraio.
Il Prof. Menachem Ya'ari, presidente dell’Accademia, ha detto di essere contento che 911 studenti per il dottorato e post-dottorato che sono all’estero hanno risposto al sondaggio con un messaggio personale. Ya’ari ha detto domenica che la fuga dei cervelli degli accademici israeliani che non intendono tornare in patria dopo gli studi sta crescendo.
Ya'ari ha detto che è notevole che quasi 1.000 di loro abbiano deciso di rispondere al sondaggio in modo dettagliato, e che comunque si riscontra che molti di loro sarebbero interessati a ritornare in Israele se potessero trovare un lavoro gradito e condizioni adatte per la ricerca.
L'accademia ha dato vita ad un centro per restare in contatto con gli studenti all'estero per incoraggiarli a tornare in Israele.
Le età di coloro che hanno risposto al sondaggio sono tra i 21 e i 47 anni, con solo il 4.9% oltre i 45 anni. Due terzi di loro sono uomini, e quasi tutti hanno la cittadinanza israeliana (alcuni hanno mogli israeliane). Quasi tre quarti sono sposati e il 72% ha figli, mentre l’86% di loro vive con un partner israeliano.
Tre quarti dei rispondenti vivono negli USA, il 10% in Gran Bretagna e il resto in altri Paesi. Sei su dieci hanno un dottorato, mentre gli altri stanno studiando per ottenerlo. Quasi tre quarti di coloro che hanno già un dottorato lo hanno ottenuto in Israele. Esattamente la metà di coloro che hanno un dottorato si specializza in fisica, chimica e biologia.
Il 95% non ha progetti concreti per incominciare una carriera accademica in Israele, ma la metà sta attivamente cercando questa possibilità. Un quinto di chi pensa di ritornare in patria ha detto che vi sono solo poche probabilità di trovare un impiego adatto in Israele.

Scarsa competitività scientifica

Scarsa competitività scientifica
Università, Cagliari rischia la serie B

di Beniamino Moro
L’UNIONE SARDA 8 agosto 2007
Prima Pagina
È stata pubblicata di recente l’ottava edizione della Guida all’Università del Censis-La Repubblica relativa all’anno accademico 2007-08, da cui si desume che l’Università di Cagliari occupa tra i 17 grandi atenei nazionali (quelli con popolazione studentesca compresa tra 20 e 40 mila) il settimo posto in graduatoria, dove si tiene conto delle strutture, dei servizi erogati, delle borse di studio e del sito web. La posizione è dignitosa e risulta migliorata rispetto a quella dell’anno scorso (11° posto), anche se in leggero arretramento rispetto a due anni fa (6°). In particolare, quest’anno risultano migliorate le valutazioni sul sito web e sul numero di borse di studio per studente, che hanno invertito la tendenza verso la bassa classifica.
L’occasione è buona per una riflessione sulle politiche e sulle strategie di sviluppo adottate sinora dal nostro Ateneo e sulle carenze più evidenti alle quali è opportuno porre rimedio. Occorre dare atto al Rettore di essersi prodigato nel miglioramento delle strutture, con un’intensa attività edilizia, e nell’erogazione dei servizi agli studenti, attività che peraltro stanno alla base del riconoscimento dell’indagine Censis. Ma ciò non basta a fare del nostro Ateneo una sede prestigiosa sul piano scientifico, in grado di competere con le altre università nazionali. Con riguardo ai parametri più strettamente accademici, come la produttività della didattica e della ricerca scientifica e le capacità d’internazionalizzazione, infatti, l’indagine Censis rivela posizioni in classifica medio-basse delle singole facoltà. In particolare, solo una facoltà (Farmacia) sta nella parte alta della classifica, cinque stanno a metà e quattro scivolano nella parte bassa.
La giustificazione della scarsa competitività scientifica è attribuita dal Rettore alla carente situazione finanziaria. Ciò è vero, ma è anche vero che risulta del tutto carente la politica di bilancio per l’acquisizione di nuove risorse, comprese le tasse degli studenti, mentre non si può certo dire che l’attuale gestione del bilancio sia orientata al potenziamento dell’attività di ricerca. Le singole facoltà, peraltro, talvolta fanno anche di peggio, gestendo le risorse finanziarie e i posti di ruolo con finalità spesso clientelari e a prescindere dal merito e dal valore scientifico dei singoli ricercatori. Qualche facoltà (Economia) è arrivata al punto di dimenticarsi di chiamare il vincitore del concorso a cattedra da essa stessa bandito.
Nei giorni scorsi, il Ministro Mussi ha promesso 350 milioni di euro alle Università più virtuose sul piano dell’efficienza finanziaria e della meritocrazia. L’Università di Cagliari non solo rischia di non prendere niente, ma rischia anche di essere penalizzata nel suo turnover dai nuovi criteri di valutazione. Eppure le strutture scientifiche in grado di competere a livello nazionale ed internazionale non mancano, ma esse vengono frustrate dall’attuale politica di finalizzazione delle scarse risorse esistenti, che penalizza il merito e la qualità a favore della massificazione, cioè della mediocrità di studenti e docenti.

mercoledì 8 agosto 2007

Andrea Cortis da Berkeley

Carissimi Andrea e Mauro,
innanzitutto vorrei inviare a voi, a tutti i miei colleghi della Legione Straniera ed ai rimpatriati, un calorosissimo saluto. Sono riuscito finalmente a leggere le nostre venture e sventure nel vostro ottimo libro. I miei più vivi complimenti per un raro e fulgido esempio di chiarezza di analisi e di visione.
Aprofitto del vostro improvvido invito a fruire di questo blog per abusarne infine con una provocazione :)
A "chiosa" della notizia del Corriere dove si riporta che vengono stanziati la bellezza di 350 milioni di euro per le Universita' Italiane piu' virtuose, rilancio una nota dell'Associated Press riportata dal Washington Post del 2 Agosto, 2007:
"Bill Promotes Math, Science Programs", By JIM ABRAMS, The Associated Press, Thursday, August 2, 2007; 11:29 PM
....
The bill calls for spending $33.6 billion over the next three years for science, technology, engineering and mathematics research and education programs across four federal agencies.
....
che al cambio attuale sono più di 8 miliardi di euro all'anno, e questo solo per rafforzare le materie scientifiche!!! Notare soprattutto la parola EDUCATION. Gli Stati Uniti hanno capito che non possono più contare solamente sull'import di cervelli dall'estero. Non so a quali dati si riferisca Andrea Mameli quando dice che ci sarà una fuga di cervelli da USA ed UK, ma non è difficile immaginare che nazioni come Cina ed India richiameranno presto i loro talenti per provare a guidare le prossime rivoluzioni tecnologiche (bellina la city-car indiana ad "aria compressa" [World's First Air-Powered Car: Zero Emissions by Next Summer].

Ahhhh ma qui negli USA non sono mica scemi, eh no!! saranno magari un pochino lenti a svegliarsi, ma quando prendono una decisione non c'è destra e sinistra, maggioranza o opposizione, veline o Totti che tengano: filano come treni verso la meta che si sono prefissi. Dice niente lo sbarco sulla luna? ... lo stesso succederà per le energie rinnovabili. Puntando tutto sulla educazione scientifica e tecnologica delle nuove generazioni (ivi inclusi i figli degli scienziati stranieri, disincentivando così i rientri), si intende rafforzare la posizione di supremazia tecnologica non solamente civile, ma anche militare ovviamente.
Chi ne soffrirà di qui a qualche decina d'anni saranno le nazioni che non avendo rinnovato la loro classe docente (Italia) non riusciranno a creare nuove generazioni di studenti al passo con la concorrenza autoctona americana. E chi insegnerà a questa nuova generazione di studenti americani? Ovviamente, tanto per chiudere il ciclo del "cornuto e mazziato", noi gli Scienziati di Ventura. Il Prof. Gessa dice giustamente che gli scienziati che scelgono di restare all'estero non sono una perdita se si trasformano nello zio d'America, mantenendo cioè vive importanti collaborazioni. Quello che preoccupa è però chi insegnerà nelle facoltà italiane fra 5 o 10 anni.
È vero che saremo un paese in cui si fa ricerca di alto livello quando riusciremo ad attrarre giovani menti brillanti da nazioni di cui a malapena sapremo pronunciare il nome, (per non diventare rossi se richiesti di indicarli su una mappa). Ma questa opzione non vale per il nostro sistema Italia al momento attuale perché il mercato del lavoro non è flessibile come in USA, UK, Olanda, Germania, etc. In questi paesi è per esempio facile per gli studenti italiani trovare una borsa di studio decente perché i locali hanno le mani troppo prese a fare i soldi appena lauerati.
Dato che la tattica del rientro dei cervelli si è dimostrata populista e velleitaria, e l'opzione di attirare nuove menti dall'estero è impraticabile, secondo me la battaglia per la riconquista di un posto di prima linea nella ricerca e' persa in partenza. Per questo la Sardegna e l'Italia devono cambiare strategia. Bisogna puntare sulla educazione nella scuola dell'obbligo e nella scuola superiore premiando i capaci e penalizzando i nullafacenti. Bisogna instillare una cultura del lavoro duro, della sana competizione, dell'innovazione. Bisogna insegnare seriamente programmazione e lingue straniere già nelle scuole medie inferiori, per filtrare i nuovi analfabeti. Ma mi rendo conto che si tratta di una rivoluzione sociale che non può essere portata avanti fin quando vi saranno vigorose forze reazionarie che spingono alla anestetizzazione delle coscienze. C'è forse qualcuno là in alto nei palazzi che ha bisogno di qualcuno che pensa? che possa vedere le cose in modo diverso? che sia capace di trovare che il risultato della divisione tra 350 milioni di euro e 59 milioni di italiani è di 6 euro a cranio, cioè il prezzo di una cappucino e cornetto, un quotidiano, e un gratta-e-vinci?
Alla tenera età di 38 anni io mi sento già vecchio per fare la rivoluzione, ma c'è qualcuno che vuole provare a spiegare tutto questo ai nostri giovani nella pausa tra una puntata dell'Eredità e un recupero di Coppa Italia?
Un caro saluto dalla California
Andrea Cortis

martedì 7 agosto 2007

Cervelli di rientro (in Europa, Italia esclusa)

Dal blog di Sylvie Coyaud OCA SAPIENS:
Cervelli di rientro
Sono usciti i nomi dei 20 ricercatori sotto i 35 anni che riceveranno i premi EURYI - dati dalla European Science Foundation - fino a 1,25 milioni di euro l’uno per rientrare in Europa. Quattro hanno scelto di tornare in un ente di ricerca tedesco, e cinque in uno francese. Il comunicato che vanta l’omaggio reso alla scienza nazionale non esce da un centro francese, stranamente, ma da uno tedesco. Sei donne, meglio della solita media. Italia niente. Interessanti anche le discipline prescelte, non tutte “scientifiche” in senso stretto: www.esf.org/activities/euryi/awards/2007.html
(6 agosto 2007)

The 2007 Awardees (European Science Foundation)

sabato 4 agosto 2007

Testimoni di ventura a La Maddalena.

Alla presentazione di ieri (La Maddalena 3 agosto 2007) nonostante il vento fortissimo oltre 50 persone hanno seguito con attenzione le relazioni di Giuseppe Bonanno (Presidente dell'Ente Parco), Roberto Morini (giornalista La Nuova Sardegna), Marina Spinetti (responsabile Parcultura), e le testimonianze di Angela Morando (protagonista del capitolo "Sarditudine", a pagina 73 del nostro libro) e di Leonardo Rubattu (protagonista del capitolo "Etiche aziendali" a pagina 98 del libro). Angela e Leonardo con le loro storie concrete-poetiche-semplici-complesse hannno impreziosito la serata.
In particolare Angela ha portato a riflettere sull'importanza di muoversi e di confrontarsi con altri e in altri luoghi, ha sottolineato la ricchezza delle differenze. Interrogata sulla sua condizione di emigrata intellettuale ha poi messo in rilievo i caratteri positivi del vivere in Inghilterra (sacro rispetto delle libertà individuali, responsabilità nel lavoro anche ai giovani, maggiore coraggio da parte delle imprese), e quelli negativi (la cucina).
Per Leonardo l'esperienza all'estero arricchisce e spesso rende giustizia ai sogni e alle ambizioni di giovani desiderosi di mettere a frutto le competenze apprese. Interrogato sulla sua opinioine circa le imprese sarde ha espresso il desiderio di aiutare le aziende a confrontarsi con mercati internazionali e ad avere più coraggio nell'avvicinarsi all'innovazione.

venerdì 3 agosto 2007

Il Governo propone un patto per rilanciare gli atenei virtuosi

Segnaliamo dal sito del Corriere della Sera un articolo sulla recente proposta del governo per rilanciare la meritocrazia nelle Università italiane. Sul tavolo 350 milioni di euro per i più virtuosi nel merito e nelle finanze. Al momento ci sono 4 atenei dietro la lavagna per aver superato il vincolo di non spendere più del 90 per cento dei finanziamenti ordinari per personale e spese fisse: Firenze, Pisa, Trieste e l'Orientale di Napoli. Con i nuovi limiti imposti dal governo il numero salirebbe invece a 19 e comprenderebbe anche l'università di Cagliari. Bene invece Sassari.
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/08_Agosto/03/sensini.shtml

"Trecentocinquanta milioni di euro da assegnare agli atenei con i bilanci a posto e i migliori risultati nella didattica e nella ricerca, ma anche vincoli alle assunzioni e piani di risanamento, con la minaccia del commissario, per quelli meno virtuosi. Con l'obbligo, per tutti, di ridurre il debito e stringere ancora i costi del personale e la possibilità, per chi vuole, di aumentare le tasse agli studenti.

IL PATTO — Il governo propone alle università un Patto per l'efficienza e la meritocrazia, che potrebbe essere applicato già dal 2008. A firmare il documento, inviato ieri alla Conferenza dei Rettori, al Consiglio degli Studenti e al Comitato Universitario Nazionale, sono stati i ministri dell'Università e dell'Economia, Fabio Mussi e Tommaso Padoa- Schioppa, tra i quali, dopo le aspre polemiche sui fondi agli atenei che hanno segnato l'ultima Finanziaria, è scoppiata la pace. Suggellata dal presidente del Consiglio, Romano Prodi. «Noi vogliamo un'università con più autonomia e più risorse e proponiamo un Patto che spinga la ricerca di una maggior efficienza » ha detto il premier in una conferenza stampa con i due ministri.

I PARAMETRI — «L'anno scorso eravamo in emergenza e non siamo andati troppo per il sottile» ha ammesso Padoa-Schioppa, spiegando che lo scopo del Patto, suggerito dalla Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica, non è tanto quello di spendere di meno (l'Italia è abbondantemente sotto la media Ue e Ocse), quanto «spendere meglio ». Premiando i virtuosi grazie ai parametri di efficienza che saranno stabiliti presto dall'Agenzia Nazionale di Valutazione, che secondo Mussi sarà operativa entro l'anno. Il 5% del Fondo ordinario, ovvero quasi 350 milioni di euro, dovrebbe essere ripartito già nel 2008 tra le università che hanno i migliori parametri e rispetto ai quali ricevono meno fondi di altre, sovrafinanziate in rapporto ai risultati.

I VINCOLI — Il Patto prevede innanzitutto la stabilizzazione del Fondo ordinario (circa 7 miliardi l'anno) che sarà indicizzato al costo del personale e all'inflazione, nonché il finanziamento dell'edilizia universitaria su base triennale. Per frenare l'indebitamento, verrebbe imposto un vincolo sulla spesa per gli interessi, che non potrebbe superare una quota tra il 2 e il 4% del Fondo assegnato a ciascun ateneo. Anche il tetto attuale alla spesa per il personale (90% del Fondo) verrebbe rivisto in modo più restrittivo, computando ad esempio anche i costi deg li aumenti contrattuali. Il che avrebbe effetti non indifferenti, visto che se oggi a sforare sono solo quattro università (Firenze, Pisa, Trieste e l'Orientale di Napoli), con i nuovi criteri proposti dal governo sarebbero ben 19.

LE PUNIZIONI — Chi dovesse sforare il nuovo tetto sarebbe costretto a ridurre al 35% il turn-over dei dipendenti, mentre per chi, oltre a sforare il tetto, avesse anche gli ultimi due bilanci in rosso, scatterebbe una cura ben più pesante. Il turn-over sarebbe ridotto al 20% e ci sarebbe l'obbligo di presentare ai due ministeri un piano di risanamento da seguire puntualmente, a pena di un commissariamento dell'istituto. Maggiori risorse potrebbero essere garantite dalla possibilità di aumentare le tasse agli studenti fino al 25% del Fondo, mentre oggi il limite è del 16%. Per gli atenei, potenzialmente, dall'aumento delle tasse potrebbero arrivare quasi 700 milioni di euro l'anno in più, di cui il 50% dovrebbe però essere destinato ai servizi agli studenti e al finanziamento delle borse di studio".

Scienziati di ventura su Nova 24

"Non sta mica scritto sulle pietre dei nuraghi che dobbiamo restare arretrati": è l'ultimo commento di Michele Saba, del dipartimento di Fisica dell'Università di Cagliari, sul blog nato intorno a "Scienziati di ventura. Storie di cervelli erranti tra la Sardegna e il mondo" di Andrea Mameli e Mauro Scanu (Cuec, 2007, 11 euro). Il cuore del volumetto sono le storie di 19 ragazzi che hanno lasciato la Sardegna per coronare i lsogno di lavorare nella scienza. Il lavoro è ricco di dati e non manca un'analisi dei problemi e delle possibilità di rinnovamento del sistema della ricerca italiano, ma il suo pregio è soprattutto la narrazione diretta e personale delle vicende di questi nuovi emigranti della conoscenza che animano anche il blog. Il risultato è un ritratto accurato di chi si avvicina al mondo della ricerca, ma anche un'indicazione per i più giovani che si apprestano a decidere del proprio futuro da ricercatore in Sardegna come in Italia.
Guido Romeo, Nova 24 inserto del quotidiano il sole 24 ore dedicato alla scienza e alla tecnologia, 2 agosto 2007.