La Nuova Sardegna - 8 ottobre 2007 - Pagina 17
Novantamila sardi lontani dall'isola
Il Rapporto italiani nel mondo conferma: l'emigrazione continua
di Maria Grazia Marilotti
CAGLIARI. Ora non partono più con la valigia di cartone legata con lo spago, quella è un'immagine da pagine ingiallite dal tempo. Però il fenomeno dell'emigrazione è ancora una realtà: sono novantamila i sardi che vivono fuori dall'isola.
I numeri parlano chiaro: è del 5,6% l'incidenza della collettività sarda all'estero contro una media nazionale del 6,2%. Numeri contenuti nelle ampie pagine del Rapporto italiani nel mondo 2007, realizzato
dalla Fondazione Migrantes, un'organizzazione ecclesiale, in collaborazione con Acli, Inas-Cisl, Mci e i missionari Scalabriniani. Elaborato da 47 redattori il rapporto è fatto di 37 capitoli e 464 pagine per tracciare un quadro della distribuzione degli italiani all'estero e cercare di capire qualcosa in più aldilà delle cifre, della loro vita lontano dalla terra di origine. Il volume è stato presentato nella sala riunioni della Camera di commercio, da don Gian Piero Zara, referente Migrantes per la Sardegna, Raffaele Callia del comitato di redazione del rapporto italiani nel mondo, Maria Luisa Gentileschi dell'Università di Cagliari in un incontro coordinato dal presidente de Il Messaggero sardo Gianni De Candia: «Francia e Germania contano ancora uno strato grosso della vecchia emigrazione - ha sottolineato Maria Luisa Gentileschi - e in controtendenza rispetto al resto d'Italia, solo l'8,5% sceglie paesi extraeuropei». Tra questi ultimi si contano soprattutto laureati o artisti. Giovani che cercano la fortuna all'estero e che tentano di soddisfare le proprie ambizioni o mettere a frutto anni di studi in terra straniera: opportunità ancora troppo spesso negate nella nostra terra.
«I laureati sardi che espatriano sono appena lo 0,9% contro i colleghi lombardi (4,3%), ma sono lo specchio della disoccupazione intellettuale che si fa sentire nella nostra isola» aggiunge Gentileschi. Il volume mostra anche il passaggio dalla prima fase dell'esodo ai giorni nostri, dai primi interventi, soprattutto ad opera della Chiesa, al superamento della cultura dell'assistenzialismo: «Gli anni sessanta sono l'epoca dello spopolamento dei paesi e dei contratti con paesi quali Germania, Belgio, Olanda, all'insegna dello slogan braccia in cambio di carbone?. Quel carbone - ha sottolineato de Candia - che è servito per rimettere in moto l'industria italiana. Erano anni di povertà e si contavano gli occupati non i disoccupati». Si partiva al grido di vado tre mesi e torno, ma sono passati trent'anni e tanti non sono più tornati. Mantengono però forte il legame con la Sardegna grazie ai 128 circoli dei sardi dislocati in tutto il mondo: «Questo lavoro vuole essere uno strumento per sensibilizzare i cittadini e riaccendere in amministratori e politici l'interesse verso un universo
che ci riguarda da vicino e che non si può ignorare?, per pensare a concrete politiche di intervento - ha sottolineato Don Gian Piero Zara - occorre un'attenzione maggiore, benché la Sardegna sia all'avanguardia nelle politiche per l'emigrazione. Per prima si è data una legge, nel '68, poi è arrivato nel '77 lo strumento della Consulta. Le cose sono cambiate. Ora si pensa ai flussi di ritorno, cominciati
negli anni ?80. Gli italiani che partono a cercare fortuna nelle pianure della pampa argentina sono un capitolo che appartiene alla storia. Da tempo è cominciato il controesodo. Ma servono progetti di avvicinamento e rientro. La Regione pensa a un'anagrafe dei sardi all'estero, sarebbe un primo passo.
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