Michele Saba giocatore della grande Amsicora e punta di diamante degli studi avanzati sui nuovi materiali
Di Giacomo Mameli
La Nuova Sardegna, 20 agosto 2007, Pagina 6
Da campione nello sport (ha giocato come difensore nell’Amsicora del mito, la squadra italiana più titolata nell’hockey su prato) ad attaccante di punta della ricerca scientifica, quella che lo ha portato alla ribalta nelle pagine di riviste come “Nature”, “Science” e “Physical Review”.
Perché lui, Michele Saba, cagliaritano di 32 anni, con dna fra il Logudoro di Ozieri e i graniti di Santa Teresa di Gallura, oggi lavora tra laser e glove boxes in una stanzetta a pochi metri dal pendolo di Foucault, biglietto da visita del dipartimento di Fisica della cittadella universitaria di Monserrato. È qui anche nella settimana di ferragosto in compagnia di un ricercatore livornese, Francesco Quochi, di un laureando oristanese in Scienza dei materiali (Andrea Cadeddu) e una dottoranda polacca, Agnieszka Gocalinska. Per capire che cosa avviene fra questi laboratori occorrerebbe una cassetta di attrezzi scientifici difficile da reperire al supermarket. Ma basta far parlare questo giovane studioso finito tra gli “Scienziati di ventura” (editore Cuec) di Andrea Mameli e Mauro Scanu, nelle pagine di Nova del Sole 24 Ore che già se ne era occupato due anni fa (25 marzo 2005) con un’apertura a sette colonne e un titolo che suonava così: «Al Mit creo i laser del futuro».
Il soggetto era lui, Michele Saba. E il Mit - si sa - è il Massachusetts institute of technology di Boston dove Saba ha avuto come insegnanti il premio nobel per la Fisica Wolfgang Ketterle e Dave Pripchard, guru della fisica professore di altre cinque stelle insignite ugualmente del nobel. Saba si è formato fra quelle pareti ma - alla fin fine - riporta tutto al campo di hockey dell’Amsicora quando era più giovane. «Nello sport devi vincere, devi puntare a conquistare le vette della classifica. Dobbiamo avere la stessa carica nella ricerca scientifica, puntare all’eccellenza che dipende dal lavoro senza soste, dalla passione, dalla continuità negli allenamenti da una parte, negli esperimenti dall’altra. Per lo studio devi seguire lo stesso metodo». Ed ecco un esempio che calza: «I giocatori dell’Amsicora -i Raggio, i fratelli Giuliani, i centrocampisti Medda - sono nati attorno al rione dove c’è lo stadio, fra il Quartiere del Sole e Sant’Elia. Nella ricerca scientifica è troppo comodo importare i cervelli dal di là delle Alpi. No, il vivaio dev’essere domestico, devi lavorare con chi è nato qui, farlo crescere, massacrarlo di allenamenti per gareggiare con le eccellenze del mondo».
Dopo i laser sulle sponde dell’Oceano Atlantico è arrivata - davanti al Golfo degli Angeli del Mediterraneo - l’optoelettronica con materiali innovativi. «Studiamo coma assorbire la luce in maniera sempre più rapida ed efficiente con nuovi materiali». Siamo sostanzialmente nel campo dei pannelli solari. «Oggi costano troppo, è necessaria troppa energia per fabbricarli. Ci arrivano dalla California, dal Giappone, dalla Germania. Il nostro obiettivo di studio è come creare i pannelli solari con un costo monetario ed energetico molto ma molto più basso di quello attuale. Perché l’energia prodotta serve appena per ripagare l’energia che è stata necessaria per la loro fabbricazione. È il cane che si morde la coda. Ecco, noi qui a Cagliari studiamo per trovare materiali che abbiano un ritorno energetico immediato, è la sfida del futuro. In questo progetto abbiamo il sostegno delle autorità regionali che stanno comprendendo - finalmente - che investimenti di questi tipo non possono avere una ricaduta domani mattina all’alba. La ricerca scientifica è problema a lungo termine».
E in una Sardegna, dal Limbara al Gennargentu, fino ai monti del Sulcis - invasa da pietre di basalto, di porfido, di calcare, di granito - si può utilizzare l’energia che assorbono?
«Certamente, l’energia termica del sole sicuramente si può sfruttare, è una delle frontiere della ricerca fisica e ingegneristica dei nostri giorni. Tanto a Cagliari quanto a Boston».
Non è da tutti approdare al Mit a 28 anni. Occorre l’allenamento della mente. Per Michele Saba - nato nella clinica sant’Anna di Cagliari - scatta nelle aule delle scuole elementari della Madonna del Carmine con maestra Maria Puddu (“affettuosa e severa, ne avevo una grande devozione”). Il padre, Franco, ozierese, è un ispettore forestale. La mamma, Francesca Becciu, è originaria di Pattada ma nasce a Santa Teresa. Finanziere anche il nonno materno, Gavino. Quello paterno, Andrea, allevatore di mucche al pascolo nelle tanche verso Buddusò. La famiglia mette radici a Cagliari e Michele prosegue le scuole medie al collegio della Missione di piazza Garibaldi. Ginnasio e liceo classico al Dettori, quello di Antonio Gramsci. Maturità con sessanta sessantesimi. Si iscrive in Fisica e dopo quattro anni (110 summa cum laude) è laureato. Tesi incomprensibile per i comuni mortali (cronisti in primo luogo) perché si occupa delle “oscillazioni eccitone-fotone in microcavità a semiconduttore”. Testo a fronte, tra virgolette, rigorosamente dettate da Saba: «La tesi tendeva a dimostrare come l’energia della luce può essere immagazzinata da un dispositivo in maniera reversibile». È necessario approfondire e si comincia a capire meglio: «Prendiamo il calore della carrozzeria di un’auto sotto il sole. Quel calore oggi va del tutto disperso. Noi studiamo il modo col quale può essere utilizzata». I suoi maestri sono due fra i docenti più apprezzati delle facoltà scientifiche dell’ateneo cagliaritano, Giovanni Bongiovanni e Andrea Mura. «Loro, oltre alle competenze fisiche, mi hanno fatto capire che il mondo non finisce sulla porta di casa». Ed ecco Michele Saba al Politecnico di Losanna già prima della laurea. Ci torna a studi ultimati «perché stavo cercando un dottorato e lo trovo al Politecnico di Losanna. Ma non sono scappato: no, avevo necessità di fare altre esperienze. Mi seguono i professori Jean Louis Staehli e Benolt Deveaud Plédran. Ho avuto subito grande autonomia, potevo coordinare un gruppo di studio».
Immediati i confronti con Cagliari. «Anche da noi ci sono laboratori buoni ma difficilmente un dottorando agisce per conto suo, poi lì c’erano a disposizione più soldi. E qui capisco che la ricerca sarebbe stata il mio futuro». Rientra in Sardegna, sposa Valeria Axiana, di Sinnai con origini di San Vito nel Sarrabus, studentessa in Giurisprudenza. Mette casa a Sinnai, in periferia, verso Maracalagonis, nasce Leonardo (oggi ha quattro anni). A febbraio del 2003 il grande salto per il Mit, («Losanna mi aveva preparato nel modo giusto»), ed eccolo al Research Laboratory of Electronics, più esattamente al Center for ultracold atoms a «studiare le interazioni tra luce e materia, ad approfondire le affinità di comportamento fra l’una e l’altra». Seguono tre anni di attività intensa. Ottimi collaboratori, autonomia finanziaria, ottimo il rapporto con i docenti. Ad Andrea Mameli e Mauro Scanu (gli autori di «Scienziati di ventura, storie di cervelli erranti tra la Sardegna e il mondo») dice: «Tutti i giovani venivano incoraggiati a prendere iniziative e responsabilità, ogni contributo originale era salutato con entusiasmo. La leadership viene stabilita col merito e la capacità, non con la gerarchia o con l’anagrafe. Vivo insomma nel paradiso terrestre dei ricercatori». Non solo ricerca. Sport, gite, cinema e tanta lettura: i quotidiani italiani on line, il New York Times e Newsweek, divora i testi di Michael Crichton (Andromeda, Jurassic Park, Timeline) e del premio Pulitzer Jared Diamond, non si perde mai Stefano Benni. Ma, soprattutto, tanti atomi, tanta luce, fotonica come era in principio. Entusiasta del suo lavoro. «Parliamo di fibre ottiche. Quando invio una mail non faccio altro che spedire luce attraverso una fibra ottica. Il vantaggio della luce consiste nel fatto che può trasportare una sequenza binaria di 1 e zero incomparabilmente più grande rispetto alla capacità di un normale filo metallico». Spiega, per far capire: «Anziché utilizzare la materia per assorbire la luce usiamo la luce per muovere la materia sotto forma di atomi. L’obiettivo è quello di fermare il moto termico degli atomi utilizzando la forza esercitata dalla luce degli atomi stessi». C’è da chiedersi, certo con umiltà e consapevolezza di ignoranza scientifica, se tutto ciò sarà utile all’uomo, a zia Teresa e Francesca. Risposta cattedratica ma decisamente chiara: «Con queste nuove forme di materia a temperature prossime allo zero assoluto si possono costruire sensori inerziali estremamente precisi che possono essere utilizzati in esplorazioni spaziali, sottomarine, geologiche. Il Gps, il navigatore installato in molte auto, è collegato a un satellite. Anche gli aerei, le navi funzionano grazie a sistemi satellitari. Pensiano poi ai grandi progressi nella diagnostica medica. Tutto è fisica, tutto è studio degli atomi. Quindi una ecografia, una risonanza magnetica, il volo in aereo o la gita in nave sono utili anche a zia Teresa e Francesca. Tutta la ricerca è indirizzata a favore dell’uomo».
Qual è lo stato dell’arte, di questa arte-fisica, in Sardegna? Michele Saba è abbastanza chiaro e netto: «Ci sono tanti buoni ricercatori e tanti bravi studenti con qualche struttura di vera eccellenza. È un bel salto in avanti. Si tratta solo di sapere se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto. Io preferisco quest’ultima immagine perché mi stimola a lavorare, a riempirlo, a far di più. E in Sardegna non solo si può ma si deve fare di più». Ma gli ostacoli non mancano: «Io li individuo nella piaga autentica dell’inefficienza di qualsiasi istituzione pubblica e ciò fa sì che i pochi denari a disposizione siano amministrati male e in forma arbitraria. Ciò mette insieme alla sbarra gruppi dirigenti politici e burocratici. Non ci sono ancora - anche all’interno dell’università - criteri comuni e concordati per la redistribuzione delle risorse. Soprattutto - e ciò ci differenzia molto dal mondo scientifico più avanzato - manca una valutazione del risultato conquistato o del fallimento ottenuto. Ciò è semplicemente assurdo perché non si individua il responsabile. A nessuno puoi contestare colpe o meriti perché manca un responsabile vero e unico». Pessimista allora? «No. Sono rientrato perché qui voglio lavorare, perché sono tante le potenzialità della Sardegna: La nostra ricerca sui pannelli solari può dare risultati utili, certi non domani all’alba. In questo noto un miglioramento: perché la classe politica più avveduta ha capito che la ricerca non può avere ricaduta a breve ma a medio e lungo termine. Da altre parti i successi sono giunti. Perché lo stesso non può avvenire da noi?». Non potreste ricavare energia dalla pietre che in Sardegna abbondano, dal Limbara al Gennargentu fino ai monti del Sulcis? «Certamente. L’energia termica del sole sicuramente si può sfruttare. È una delle frontiere della ricerca fisica e ingegneristica dei nostri giorni. Dovremmo avere una classe dirigente più motivata, in Consiglio regionale un solo ricercatore di eccellenza non basta, ce ne vorrebbero, dieci, venti e le cose cambierebbero in un battibaleno».
Uscendo da questi laboratori di Fisica si può anche concludere con note positive: «I cervelli sardi possono rientrare ma prima devono aver fatto all’estero esperienze importanti e non di un week-end. Perché parlare di un ricercatore che torna dev’essere la norma non l’eccezione. I giovani sono oggi di buona qualità, vedo un trend positivo. La ricerca deve essere davvero di eccellenza. Ma occorrono i valutatori: sarebbe disastroso non mettere tutti sotto esame, incentivare i capaci, eliminare gli incapaci, i burocrati della ricerca che non fa muovere un passo in avanti alla Sardegna, all’Italia». Parola di Michele Saba, cagliaritano-logudorese rientrato dal Mit di Boston alla cittadella della Fisica di Monserrato. La sua ricetta è netta: «Premiare i capaci, accumulare conoscenze e competenze».
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