Ho visto e letto l’articolo su Cagliari pubblicato sul New York Times del 12 agosto 2007 e non ho potuto fare a meno di sentire una punta d’orgoglio per le mie origini. Una punta d’orgoglio soprattutto per un articolo dedicato interamente a Cagliari, associato ad un articolo dedicato alla Sardegna, che quindi non è stata (come al solito) etichettata come Sardegna = Costa Smeralda. Niente togliendo alla Costa Smeralda, né rinnegando la Costa Smeralda come se fosse un luogo che non faccia parte della regione da cui provengo, sono sarda, oltre che cagliaritana e non riesco ad andare oltre un giudizio per niente obiettivo e totalmente di parte che mi fa sempre asserire che la Sardegna è tutta bella. Semplicemente non è l’unico luogo degno di nota, ha perso parte della sua autenticità sia paesaggistica che umana e per questo motivo mi pare poco idonea a rappresentare tutta l’isola e tutti i sardi.
Ma se è vero che attualmente mi trovi a vivere in un paese dove la Sardegna, comprensibilmente per motivi di distanze geografiche, sia poco conosciuta, ancora meno conosciuta è Cagliari, che già pronunciarla ai giapponesi viene in salita. Inutile dire che questo abbia fatto si che mi sentissi investita dalla grande responsabilità nonché arduo lavoro di divulgare ad ogni giapponese che avesse un qualche contatto con me, le bellezze e le tradizioni della mia regione partendo proprio da Cagliari, spaziando per la sua provincia, per finire con il pubblicizzare anche le altre.
Ai miei occhi quindi, l’articolo del NYT non decreta le bellezze e la preziosità della mia città, è un articolo che, riconoscendone la bellezza e la preziosità intrinseche, semplicemente le divulga con una dialettica piacevole e scorrevole che rende onore a Cagliari al punto da far venire una voglia tremenda di visitarla a chiunque non l’abbia ancora fatto, voglia tremenda di interessarsene a tutti coloro che non ne conoscevano l’esistenza. Agli occhi degli altri che non sono sardi, per quanto il mio orgoglio di sarda non mi permetta di ammetterlo, un articolo su una rivista internazionale come il NYT, oltre che renderci onore ed omaggio, ha l’indubbio potere di confermare e dare credibilità a tutto il mondo quello che noi sardi divulghiamo. Se quindi è vero che ogni giapponese che io abbia conosciuto, a cui abbia parlato di Cagliari, della sua provincia e dell’intera isola, abbia ascoltato con grande interesse ogni mia parola prendendo atto senza più scordarsene che anche la Sardegna faccia parte dell’Italia e valga la pena dedicarci attenzione, e’ anche vero che sventolare a tutti l’articolo sul NYT mi abbia non solo resa orgogliosa che la mia città fosse finita proprio tra le pagine di questo giornale, ma ha anche definitivamente decretato fra i giapponesi che mi conoscono, la bellezza non sottovalutabile di questa città nell’ambito del contesto mondiale.
Due piccole parentesi a proposito di orgoglio delle proprie origini.
A fine novembre a Kyoto ci sara' un grosso congresso internazionale sul ruolo dei fattori alimentari nella cura e/o prevenzione di malattie legate allo stress ossidativo (cancro, diabete, aterosclerosi, invecchiamento precoce e così via) del quale il laboratorio cui appartengo ne è l'organizzatore, con il mio boss in testa. Ho provato una leggera amarezza nel vedere nel programma del congresso quel "Rosaria Piga - Japan", ma tant'è che è proprio così, al Giappone professionalmente devo tutto, professionalmente non appartengo all'Italia e la cosa più amara è che all'Italia non gliene frega niente e non glien'è mai fregato niente. I giapponesi invece ne sono orgogliosi, vedendo come i risultati si stanno arricchendo, sono orgogliosi che tutto questo ben di dio verrà esposto al "nostro" congresso internazionale con gente che viene da tutto il mondo, in cui una donna italiana partecipa con la bandiera giapponese e fa parte dello staff del laboratorio organizzatore. Non avrei mai detto che avrei girato con la bandiera giapponese, io sono orgogliosa di essere italiana, sarda ancor di più, ma l'Italia del mio orgoglio cosa se ne fa, dove se lo mette?!? Non si vergogna di tutto questo?
Per motivi che non sto a descrivere, mi sono dovuta interessare a conoscere lo stipendio medio di determinate categorie professionali in Giappone. La figura professionale da noi identificata come operatore ecologico, in Giappone guadagna quanto un ricercatore italiano, tanto per intenderci il valore che ci danno nel nostro paese ed il valore che invece danno in Giappone sia al ricercatore che all’operatore ecologico. Niente togliendo a quest’ultimo, un lavoro onesto e dignitoso come tutti gli altri ma la cui preparazione professionale non richiede lauree, dottorati, specializzazioni e training all'estero.
Rosaria Piga, Kyoto, Giappone
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