La biologa Rosaria Piga racconta la sua esperienza giapponese dove i laboratori funzionano anche grazie alla meritocrazia
Giacomo Mameli, La Nuova Sardegna, 5 novembre 2007, pagina 6
La prima sorpresa, quasi uno choc (fortunatamente più che positivo perché del tutto inatteso), all’aeroporto internazionale di Osaka. A ricevere Rosaria Piga, biologa cagliaritana in arrivo con un volo Alitalia decollato da Milano, c’è nientemeno che il professor Etsuo Niki, direttore del centro di ricerca Hssrc (Human Stress Signal Research Center), uno degli istituti più accreditati al mondo per lo studio dello “stress ossidativo”, patologia causa di numerose malattie sempre più diffuse e gravi, spesso con esito letale, dal cancro all’invecchiamento precoce, dall’arterosclerosi fino all’alzheimer e al parkinson. Il professore, giacca e cravatta, sorridente, è con un altro collega. Danno il benvenuto a Rosaria che non sa come ringraziare per un’ attenzione così premurosa, ma già da questo primo segnale capisce di «aver cambiato pianeta». Racconta: «Mi sentivo catapultata dall’anonimato o quasi che ti circonda in un centro di ricerche sardo (o italiano) al rispetto e alla considerazione riservatimi all’estero. Quando mai, non dico il direttore-mito di un centro mondiale di studi, ma anche il suo ultimo assistente ti sarebbero venuti ad accogliere a Elmas o ad Alghero? Ma neanche a Milano o Perugia. Ebbene, lì è successo. Ed è la norma, non l’eccezione”.
È la domenica mattina del 31 marzo 2002. Dopo dodici ore su un Boeing a diecimila metri di quota la giovane ricercatrice sarda sale sull’auto privata del professor Niki, si parla di tutto, dell’Italia e del Giappone, ma soprattuto di cose pratiche, senza convenevoli. «Mi dice: la tua casa in affitto è pronta, è a nord di Osaka, quartiere Ikeda, abbiamo già pagato l’allaccio della luce e del gas. Di sera mi invitano a cena con altri colleghi che accolgono l’amica italiana». La casa è un condominio a cinque piani in un rione molto popolato di una città di tre milioni di abitanti, la terza del Sol Levante, alla foce del fiume Yodo, con Kobe e Kyoto è una delle tre città dove vivono 18 milioni di abitanti.
Sì, un altro mondo, sotto tutti gli aspetti. «Entro a casa, 17 metri quadrati, più un metro quadrato di bagno. Abito ancora lì e sto bene. E sono passati sei anni».
Il lunedì mattina, primo aprile, è al dipartimento Hssrc, collegato all’istituto Aist Kansai che sta per Advanced Industrial Science and Technology. Mezz’ora a piedi dalla mini-casa. È sempre il professor Niki che la va a prendere, le mostra i negozi e le banche, il supermercato più fornito. Eccolo il campus, una grande cancellata con una guardia in divisa blu scuro, legge i nomi dei padiglioni di Fisica, Chimica, Ottica. «Il mio istituto era quello dello stress ossidativo. All’ingresso chiedono di lasciare le impronte digitali, quella dell’indice destro». Rosaria crede che sia uno scherzo. «No, no, è la prassi. Quell’impronta diventava la mia parola chiave, la password, la chiave di accesso dopo aver digitato il codice del mio laboratorio. Entro e il direttore mi presenta dieci colleghi, tutti giapponesi doc, volti simpatici, Yoshiro e Yasukazi, anche due donne sposate, Junko e Nanako. Ecco la mia scrivania, gli scaffali, il cassetto, i libri, il computer». E vedo, nel mio studio, tutta la strumentazione necessaria per far ricerca. È tutto made in Japan, sono in giapponese anche le istruzioni per l’uso, ho bisogno dei colleghi per capire, disponibili, affabili. Dal primo giorno ho tutto a disposizione, col mio budget. E lavoro come tutti gli altri dalle 9 del mattino alle 21 con un’ora di pausa-pranzo. Dal primo mese lo stipendio regolare: 400 mila yen, pari a quattromila euro al mese». E poi? «E poi i colleghi mi insegnano pazientemente a lavorare al bancone, pipette e reagenti, microscopi. Ma soprattutto inizio da subito a ragionare come deve fare un ricercatore. Mi dicevano: devi togliere le idee dalla tua testa e confrontarle con le idee dei tuoi colleghi per arrivare a un progetto comune».
Stress ossidativo si diceva. Come limitarne gli effetti devastanti? Studiando. Rosaria indaga su due proteine, va alla ricerca di sostanze naturali estratte da piante e arbusti per prevenire o ridurre i danni di queste malattie degenerative. Dice, con linguaggio tecnico: «Testo in continuazione l’effetto anti-stress di questi composti tanto su cellule di aorta per gli studi sull’aterosclerosi quanto su cellule simil-neuroniche per indagare sul sistema nervoso». Progressi? «Certo, rispetto a dieci, cinque anni fa sono stati fatti molti passi in avanti, i pazienti sono assistiti meglio, si può migliorare ancora, ma soltanto insistendo caparbiamente con la ricerca. È ciò che facciamo a Osaka e Kyoto. Collaboriamo anche con un gruppo di fisici guidati da Yoichi Kawakami, si occupano di nanotecnologie, ci lavora anche un piemontese, Ruggero Micheletto, torinese». Nanotecnologie, cioè? «Usiamo uno strumento ottico detto Snom, è un sofisticato microscopio a scansione, consente di esaminare tessuti viventi in estremo dettaglio, arriviamo a miliardesimi di metro. Ecco, tutto ciò è basilare per arrivare a risultati concreti. E ci spero, ci speriamo».
Davvero un altro pianeta. Rispetto alla Sardegna. Rispetto all’Italia. Dove le carriere universitarie si costruiscono per via nepotistica, con le parentopoli all’ombra di nonni e di padri, di zii e di zie, di suoceri e suocere, con gli intrallazzi e le triangolazioni di grembiuli e di lobbies. Non solo a Bari e Messina, non solo a Napoli e Salerno, anche a Cagliari e Sassari, con le eccezioni del caso ovviamente. E così quella di Rosaria Piga diventa la storia emblematica di chi, «non per affermarsi» nel campo della ricerca scientifica ma «per poter fare ricerca scientifica», ha dovuto preparare la valigia e varcare il Tirreno, le Alpi e gli Oceani e approdare dove ciò che conta è il merito, il valore individuale e non la carta d’identità, il clan familiare, la casta di appartenenza. È una storia come tante altre che sono già state raccontate e che continueremo a raccontare perché è una tendenza negativa, devastante che va invertita, perché più cervelli l’Italia perde e più l’Italia perde in competitività, perché più cervelli la Sardegna regala gratis all’universo mondo e più la Sardegna retrocede. Le vicende degli “scienziati di ventura” raccontate in un best seller Cuec da Andrea Mameli e Mauro Scanu sono lì a dimostrarlo. Con inoppugnabili prove.
Ricercatrice in Giappone, quindi. Con molto lavoro, riunioni in team, discussioni, prove. Dopo alcuni anni un altro salto di qualità per Rosaria. «Mi propongono di collaborare col dipartimento di immunologia e infiammazione del Kyoto Prefectural University of Medicine diretto da un altro grande della ricerca, il professor Toshikazu Yoshikawa. Accetto. Da Osaka sono 45 minuti di treno, sempre puntuale, treni che spaccano il secondo, ogni giorno dell’anno. Passo davanti ai templi, al Palazzo imperiale e poi camice bianco e microscopio». Studi e pubblicazioni su riviste internazionali. Una delle più recenti è apparsa su Biophys Chemistry. Articoli e ricerca continua. Ancora Rosaria. «In Giappone, avere un laboratorio efficiente è la normalità, la regola per un ricercatore, non devi elemosinare nulla, hai a disposizione ciò che è necessario. In queste condizioni la crescita culturale è costante»
E i rapporti umani? Eccellenti. «Intanto nessuno conosceva la Sardegna, pochi conoscevano l’Italia, per cinque anni non ho incontrato un solo sardo, solo quest’anno ho conosciuto una coppia di cagliaritani che studiano a Tokyo la storia delle religioni, in particolare il buddismo e lo shintoismo». E oggi? «L’Italia e la Sardegna non sono più sconosciute ma sempre poco conosciute, sono state importanti alcune fiere, alcune mostre. Quello giapponese può essere un mercato importante per il nostro Paese».
Vita normale, semplice quella di Rosaria Piga. Ha 43 anni, nasce a Cagliari, il padre Antonello rappresentante di prodotti per l’agricoltura, la madre (Maria Teresa Boi) insegnante fra i paesi dell’alto oristanese e del Campidano di Cagliari. Rosaria è la primogenita (il fratello Piero, 39 anni, geometra, vive in Spagna dove è fidanzato con Monica, un architetto). Elementari in viale San Vincenzo a Cagliari, liceo scientifico al “Brotzu” di Pitz’e serra di Quartu. Gli insegnanti del liceo? «Giudizio insufficiente, il professore di italiano e latino mi sconsiglia di iscrivermi all’università, e aggiunge: non ti servirebbe a nulla». Rosaria va avanti, diploma, si iscrive in Biologia, studia e lavora, baby sitter e ripetizioni, fotocopie al palazzo di giustizia, la laurea con 107 (tesi con Gaetano Verani sui prodotti di sintesi con metalli pesanti). Inizia il calvario per «trovare un istituto che mi accolga per poter fare la ricercatrice. Inizio con tanto entusiasmo, poi mi rendo conto che non ho nulla attorno a me, lavoro gratis, mai un soldo, girovago sette anni senza avere mai uno stipendio che mi consenta di essere autonoma economicamente. Vago per l’Italia, Torino, Siena, Bologna, Napoli, Udine. Ovunque le stesse trafile, estenuanti. Mi proponevano pochi denari. Poi la svolta, targata Sardegna. Nel 2000 conosco alla Cittadella di Monserrato l’ex preside di Scienze, il professor Francesco Corongiu, patologo generale. Ha collaborazioni con Paesi esteri. Mi chiede se sono disposta a lasciare l’Italia. Anche domani mattina, gli rispondo. Senza dirmi nulla avvia le pratiche. Prima di morire Corongiu mi dice: andrai presto in Giappone. Detto fatto. Arrivo a Osaka nel marzo del 2002 e mi accorgo davvero di un altro mondo per la ricerca scientifica, noi in Italia ne siamo lontani anni luce».
1 commento:
leggere l'intero blog, pretty good
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