venerdì 2 novembre 2007

Quegli scienziati di ventura raccontati da cronisti di razza (La Voce di Iglesias, 10 ottobre 2007)

Storie di cervelli erranti nel mondo, che conquistano posti di prestigio a Berkeley (Usa) e Grenoble (Francia), che lavorano a Warwick (Inghilterra) piuttosto che a Perth (Australia). I protagonisti di queste storie si chiamano Saba, Cortis, Rubattu, Pittalis, Loi, Portar, Contu. Cognomi sardi perché sardi sono i ricercatori costretti a lasciare l'isola per realizzare i loro progetti di ricerca. Molti, la maggior parte, oltre che ricchi di talento e di idee, sono anche giovani. Ma di loro fino ad oggi, qui in Sardegna, non sapevamo nulla, chiusi come siamo in una bufaliniana isolitudine, senza respiro sul mondo che ci circonda, in una cultura ripiegata su se stessa che produce stagnazione anziché innovazione.
A raccontare le vicende professionali e umane di questi ricercatori sono stati due giovani giornalisti scientifici, Andrea Mameli e Mauro Scanu, che hanno voluto ribattezzare i loro interlocutori con l'efficace definizione di scienziati di ventura. Paragonandoli, in tal modo, ai capitani che nel Cinquecento partivano alla conquista di terre sconosciute e lontane, proprio come nel terzo millennio hanno dovuto fare i ricercatori di casa nostra. Una ventina di storie, quelle racchiuse in Scienziati di ventura (Cuec editore, 11 euro), che stimolano ad una riflessione spassionata sulle contraddizioni del nostro Paese, sull'assenza di una politica seria a sostegno della ricerca e sulle mafie del baronaggio universitario, ma senza scadere nella recriminazione sterile e scontata. Anzi il senso più profondo del libro, presentato sabato scorso all'archivio storico, è esattamente di segno opposto. Perché mostra quanta qualità e varietà di uomini e donne di valore la nostra isola produca e come essi sappiano lavorare a progetti di grande rilievo qualora venga loro concessa l'opportunità di farlo.
Come fanno i veri cronisti di razza, Mameli e Scanu, con un paziente lavoro di inchiesta, sono andati a scovare questi cervelli erranti ai quattro angoli del pianeta, mettendoli poi sulla pagina senza retorica, con una scrittura intenta solamente ai fatti. Nella consapevolezza che quando i fatti sono sodi, bastano e avanzano senza bisogno di inutili condimenti. Del libro abbiamo parlato con uno degli autori, Mauro Scanu. Iglesiente, 32 anni, laurea in Scienze della Comunicazione a Siena, master in Comunicazione della scienza a Trieste (come il coautore Andrea Mameli), giornalista, Scanu ha al suo attivo anche la stesura di Qualcosa di inaspettato, l'autobiografia dell'astrofisica Margherita Hack, pubblicato da Laterza.
Cosa intendiamo con l'espressione «fuga di cervelli» e quale danno comporta questa fuga?
«Riassumendo il concetto all'osso, significa che l'Italia non offre molte prospettive ai giovani ricercatori che escono dall'università. Ogni anno migliaia di menti brillanti se ne vanno all'estero producendo un danno che non è solo culturale ma anche economico: educare un giovane, dalle elementari al dottorato di ricerca, costa allo Stato centinaia di migliaia di euro. Quando l'opera è compiuta a raccoglierne i frutti sono altri paesi anziché il nostro».
Ci sono dati certi?
«Sì. Vanno via circa 30.000 ricercatori con una perdita economica di circa 8 miliardi di euro. In compenso gli stranieri che si iscrivono nelle nostre università sono appena 29.000. Giusto per fare un paragone, negli atenei inglesi le iscrizioni di studenti stranieri sono 220.000. Dieci volte tanto».
Perché l'Italia non attrae scienziati?
«Per molteplici fattori. I salari, anzitutto. Un ricercatore in Norvegia guadagna 51399 euro lordi all'anno, 42528 in Danimarca, 39599 in Svizzera. Invece in Italia guadagna 12337 euro lordi l'anno, cioè ben meno di mille euro netti mensili. Solo Lituania e Grecia pagano peggio».
C'è altro?
«Da noi non vige la meritocrazia, e senza meritocrazia non può esistere scienza. Nel libro raccontiamo la storia di una ragazza di Iglesias, Alessia Contu, che si occupa di organizzazione del lavoro nelle università inglesi. Ebbene, poiché in Inghilterra valgono regole simili a quelle del calciomercato per cui ogni università tende ad accaparrarsi i talenti migliori, di recente Alessia è stata "acquistata" dalla Warwick Business School che l'ha strappata all'università di Lancaster. E lo ha fatto perché ha valutato le qualità della nostra concittadina, in base ai suoi studi e alle sue pubblicazioni».
Nel libro si parla anche di un altro iglesiente, Andrea Cortis, un ingegnere che lavora negli Usa.
«Sta a Berkeley, vicino a San Francisco, e si occupa di sequestro geologico dell'anidride carbonica, della necessità di stoccarla a grandi profondità per ridurre l'inquinamento. Un sistema che potrebbe essere molto utile nel Sulcis del carbone».
Quali sono i sentimenti che questi scienziati di ventura nutrono verso la Sardegna?
«La nostalgia c'è, in tutti. In alcuni esiste rabbia, in altri il desiderio di rientrare a patto che vengano realizzate condizioni accettabili sotto il profilo economico e di realizzazione professionale. Ma non è semplice e molti ne sono consapevoli».
Il libro è dedicato ai giovani che devono scegliere quale strada affrontare nella vita.
«Sì, nella speranza che sappiano cogliere le opportunità che il mondo offre e trovino la loro strada, senza perdersi».
Roberto Cherchi

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