Scienziati di ventura
Nel 2001 l'Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani (Adi) portò avanti un'iniziativa denominata 'Cervelli in fuga' e raccolse in un libro le testimonianze di alcuni ricercatori residenti all'estero. L'iniziativa diede maggior risalto a un fenomeno da anni dibattuto: l'emigrazione di molti scienziati che ricercano altrove quello che la loro patria non è in grado di offrire. La mobilità degli studiosi non viene vista dalla Comunità Scientifica in maniera negativa in quanto indispensabile per lo scambio d'esperienze, d'idee, di conoscenze e di punti di vista. Il problema italiano (uno dei tanti), è che il numero dei cervelli che entrano nei confini nazionali è nettamente inferiore a quello dei cervelli che vanno via e che spesso non tornano indietro.
Si innesta in questo discorso il saggio di Andrea Mameli e Mauro Scanu intitolato: Scienziati di ventura. Storie di cervelli erranti tra la Sardegna e il mondo [Cuec, 2007].
Il libro di Mameli e Scanu ripropone la storia di 20 scienziati, 5 dei quali rientrati in Patria.
La sensibilità all'aspetto umano del fenomeno che travalica qualsiasi impressionante ma algido dato numerico, rende il libro coinvolgente e di facile lettura. Difficile non riconoscersi immersi nello scenario delineato dalle 20 interviste dei due divulgatori.
Il presente articolo desidera essere un invito alla lettura e alla diffusione di 'Scienziati di ventura'. Acquistatelo, leggetelo, regalatelo ai vostri figli (soprattutto se nell'anno del diploma), aprite dibattiti sui suoi contenuti.
Solo attraverso il riconoscimento e l'ammissione delle nostre debolezze potremmo sperare di ricostruire una società più sana e stabile.
La dedica.
Questo libro è dedicato ai ragazzi che devono decidere il proprio futuro e non sanno come districarsi nella giungla di opportunità e di vincoli dell'università italiana. Con la speranza che possano trovare una strada, senza perdersi.
Cos'è questo libro? Di cosa parla?
Afferma Mauro Scanu: “Questo libro non vuole essere un atto d'accusa, ma un reportage che mira a raccontare la ricchezza di un mondo lontano e poco conosciuto, quello dei ricercatori sardi all'estero [...] abbiamo raccolto le testimonianze di ricercatori e ricercatrici senza distinzione d'età e di ruolo [...] ma è soprattutto un viaggio nella scienza: ogni vicenda individuale è legata a una diversa disciplina o all'approfondimento di un particolare progetto di ricerca. I racconti ci permettono di capire qualcosa di più sulle neuroscienze, l'economia, l'agronomia, la geologia, la medicina, l'ingegneria, la fisica, la chimica, la biologia e la psicologia. Grazie alle parole di chi ci lavora quotidianamente, è quindi possibile avvicinarsi in modo un po' diverso ad argomenti scientifici di varia natura, da quelli puramente teorici sino a quelli legati ad applicazioni tecnologiche”.
Ma il saggio parla anche di “un'emorragia umana”, di “un prelievo chirurgico” di giovani laureati che fuggono senza più tornare.
Da cosa fuggono i nostri scienziati? Cosa si lasciano alle spalle e cosa li attende oltre confine? In quali condizioni si trovano a operare quei pochi (5 su 20 nel saggio) che decidono di rientrare?
Vediamo di scoprirlo insieme.
Perché partire?
“Ognuno di noi, finché non espatria, resta convinto che quello che vede a casa propria , sia l'unica realtà immaginabile, possibile, concepibile”. [Rosaria Piga]
Come sono i centri esteri d'eccellenza?
“Sono crogioli in cui si fondono etnie, culture e tradizioni di tutto il mondo. [...] Qualcuno li definirebbe 'non-luoghi' come gli aeroporti e le stazioni che non rappresentano culturalmente le nazioni in cui sono costruiti, ma solo le tracce confuse di coloro che vi transitano”. [Mauro Scanu]
“Non avrei potuto realizzare meglio di così le mie aspettative. Qui posso finalmente sviluppare appieno le mie idee in un ambiente stimolante dal punto di vista scientifico, potendo anche contare su un grande supporto dal punto di vista delle risorse economiche. Ho la possibilità di confrontarmi quotidianamente da pari con i massimi esperti mondiali nel campo e finalmente saziare la mia curiosità spaziando tra i campi più disparati. In più, e ciò non guasta, ricevo un eccellente trattamento salariale, che sarebbe improponibile in Italia”. [Andrea Cortis]
“All'estero [...] posso essere una persona sempre in crescita intellettuale, in continuo aggiornamento, in continuo sviluppo della propria inventiva, in continuo confronto con gli altri, e non una specie di automa che esegue delle routine”. [Rosaria Piga]
Cosa lascia dietro sé questo “esercito silenzioso di scienziati”?
“[...] un sistema ingessato che si rinnova a fatica: su 18.651 docenti di ruolo, quelli con meno di 35 anni sono solo 9 in tutta Italia; l'80% dei professori ordinari ha più di 50 anni e il 40% ne ha più di 60. Da notare che lo stesso Ministero dell'Università e della Ricerca sostiene, forse impietosamente, che l'età produttiva dei ricercatori arriva fino a 44 anni. [...] Una recente indagine condotta dalla Nidil Cgil (osservatorio sul lavoro atipico) ha mostrato che più della metà dei ricercatori italiani ha un contratto precario, che uno su tre guadagna meno di 800 euro netti al mese e che la maggioranza lavora tra le 38 e le 45 ore a settimana. [...] Riassumendo il concetto all'osso, si potrebbe dire che il nostro Paese non offre molte prospettive ai giovani ricercatori che escono dall'università. Pochi soldi, poche possibilità di carriera, nessun riconoscimento del merito”. [Mauro Scanu]
“[...] stavo iniziando a odiare il mio corso di studi a Cagliari. I programmi erano datati, alcuni professori non avevano idea dei bisogni del mondo del lavoro e in generale c'era poca attenzione per gli studenti. Se un professore inglese si comportasse allo stesso modo con gli studenti sarebbe licenziato in tronco. Ad esempio, non rispondere alla mail di uno studente in tempi brevi è considerato grave”. [Carlo Boldetti]
“Continua a mancare un collegamento tra il momento in cui finisce un diploma o una laurea e l'inizio di un'esperienza lavorativa. Non si può cominciare a guadagnare qualche soldo a 30-35 anni dopo che si sono investiti anni di fatica e migliaia di euro nello studio” [Angelo Loi]
“Fuga da tutto ciò che dal momento della laurea fino alla mia partenza mi ha sempre più nauseata, delusa, amareggiata. Fuga da un paese carente di persone serie e guidate da principi di onestà e lealtà, un paese dove vai avanti solo se sei raccomandato o figlio di qualcuno, dove vengono premiati gli incapaci che restano anni a inchinarsi al potente di turno vegetando nei posti di lavoro, quasi che un posto sia solo un onore alla resistenza e non al merito. [...] Dopo diversi anni nel mondo della ricerca isolano nei quali non vedevo sbocco alcuno [...] ho cominciato una lunga, faticosa e penosa migrazione nella penisola [...] constatando di persona che la situazione lavorativa nel campo della ricerca non era confinata alla sola Sardegna, ma a tutta l'Italia”. [Rosaria Piga]
Cosa occorre fare?
L'esito del provvedimento Moratti del 2001 (stanziati 3 milioni di euro per invogliare centinaia di scienziati a tornare in Patria) mostra che “[...] la semplice istituzione di borse di studio non è sufficiente a cambiare le cose: le riforme dovrebbero essere strutturali”. [Mauro Scanu]
“[...] bisogna costruire un futuro in cui l'università guardi al merito di chi fa buona ricerca e non sia più schiava di privilegi e nepotismo” [Mauro Scanu]
Come si può fare?
“Non è certo questa la sede per elencare quali sono le riforme necessarie da fare”. [Mauro Scanu] È questo l'incipit di Mauro Scanu nel primo capitolo, parole che – lo confesso – mi hanno alquanto demoralizzato facendo sorgere spontanea la domanda: “Ma allora qual è la sede appropriata?”. Fortunatamente l'autore si distrae un attimo nel corso del libro e alcuni provvedimenti giungono inattesi dagli intervistati che, tra le tante proposte che non posso riportare in questo articolo per questioni di spazio e di diritti d'autore (leggete il saggio), sottolineano:
“È necessario: selezionare il n° degli studenti di dottorato in base alle reali esigenze; non assumere persone incompetenti; valutare annualmente professori associati e ordinari; riconoscere il lavoro scientifico solo a chi lo realizza; favorire l'indipendenza scientifica e finanziaria dei nuovi ricercatori; licenziare i dipendenti pubblici nullafacenti; punire duramente la corruzione, l'assenteismo e i favoritismi; investire in piccole e medie imprese; investire in ricerca seria e applicata; mettere i giovani che rientrano dopo un'esperienza formativa all'estero in condizione di lavorare e applicare quanto imparato; dimostrare che se lavori e ti impegni puoi progredire; mandare a casa i baroni per fare posto nelle cattedre ai giovani meritevoli; assumere più tecnici; confrontarsi continuamente con altre culture; diversificare le produzioni rispetto a quelle tradizionali; incoraggiare le imprese verso l'internazionalizzazione”.
La cosa che più mi ferisce.
'Scienziati di ventura' contribuisce a mettere in luce un aspetto inquietante della nostra società. Fatalismo e disperazione, da sempre presenti in regioni come la Sardegna, sono ormai sentimenti diffusi e galoppanti in tutta la penisola.
Triste la constatazione di Maria Antonietta Loi:
“[...] le giovani generazioni, da anni rassegnate, vivono aspettando che i vecchi lascino cadere qualcosa dall'alto
Dello stesso autore:
Incontro del 10 ottobre 2007
Intervista ad Andrea Mameli 11 ottobre 2007
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