Sono ritornata a casa, senza saper più quale sia la mia casa... se mi riferisco alle quattro pareti dentro le quali vivo, sento casa mia questa che possiedo in Giappone, per quanto piccola, perché rappresenta la mia prima casa in cui ho cominciato una vita indipendente. Se invece mi riferisco alla terra di appartenenza, casa mia rimane sempre la Sardegna. E questo a prescindere dal fatto che attualmente la Sardegna e la sardità, siano diventate di moda. Personalmente credo che i sardi che sono orgogliosi di esserlo e che decantano la propria isola, lo facessero anche prima di questa moda attuale, così come coloro che si vergognano di essere sardi, continueranno, nel profondo del loro animo, a vergognarsene anche adesso. Come in tutte le regioni, in tutte le nazioni ed in tutti i popoli, c’è chi ama e chi rinnega le proprie origini. Per questi motivi, presuntuosamente mi viene da pensare che la moda sulla sardità e la Sardegna in realtà l’abbia creata chi non è sardo, per noi sardi invece non è cambiato niente, continuiamo a comportarci come sempre, chi andando orgogliosi, chi rinnegando le proprie origini. Nemmeno io sono favorevole agli estremismi, estremizzare la sardità e farne un fanatismo non solo diventa pesante, noioso e spiacevole nei confronti di ciò e di chi sardo non lo è ma non per questo non meno prezioso ed importante, però ammetto di godere questo periodo di sardità come moda vivendola come uno dei tanti sassolini che mi sto togliendo dalle scarpe... dopo essermi sentita rivolgere diverse volte in passato (non cosi’ tanto passato in fondo) commenti non certo piacevoli sulle mie origini da parte di chi sardo non lo era, adesso tutto sommato non solo mi fa piacere che ci sia chi si sia accorto del nostro valore, ma non mi vien voglia di dire che la sardità odierna come moda sia un’esagerazione... e me la godo. In fondo il mondo va cosi’ in qualunque campo e non solo in questo, a mode, c’è stata la moda di altre regioni, se ora tocca a noi, perché abbatterla?
La mia vacanza in Sardegna è stata tutto sommato una toccata e fuga, in cui ho visto e vissuto cose e persone troppo freneticamente da non avere il tempo di metabolizzare quello che mi stava succedendo, quello che sentivo, che vedevo, che dicevo, che mi sentivo dire. Lo sto metabolizzando adesso che sono di nuovo lontana, a freddo. Ho metabolizzato di aver preso parte alla presentazione del libro avendo l’occasione di esprimermi in tutta libertà, come d’altronde è stato lo spirito del libro stesso, forse per la prima volta in tutta la mia vita, perché gli autori me ne hanno dato la possibilità e perché paradossalmente mi sono sentita tutelata dal mio non vivere in Italia e quindi esente da eventuali ripercussioni. Tutelata dal fatto che se non potro’ tornare in base non solo alla situazione critica ma anche in base a ciò che dico e che dirò, che farò o che non faro’, pazienza, non me ne faccio un cruccio, andando all’estero ho realizzato che il mondo è grande e fortunatamente è pure vario, se me la sono cavata da sola in Giappone, me la caverò anche altrove. Basta la salute. Per quanto luogo comune possa sembrare, è davvero proprio cosi’, finché se c’è la salute, c’è speranza, c’è sempre una soluzione a tutto.
Ma per essere cosi’ "filosofa", me ne sono dovuta andare all’estero, prima non ne ero capace, cosi’ come non ero conscia del senso di libertà professionale e personale del quale ci si arricchisce quando si va fuori dal proprio paese. Da qui l’importanza di andarci a prescindere dalla crisi nella nostra nazione, di questo ho già parlato nel mio intervento all’interno del libro.
Ho metabolizzato di aver conosciuto due cervelli in fuga, fra i tanti intervistati da Andrea e Mauro, ossia Monica Mameli e Michele Saba, due persone diverse come orientamento professionale ma uguali in quanto a positività, rimanendo affascinata e colpita dal loro coraggio non solo di partire, che è un coraggio che accomuna tutti noi intervistati, ma soprattutto di rientrare, coraggio che io attualmente non possiedo. Michele va oltre il lamento, fa di piu’, va alla pratica cercando di migliorare la situazione nel suo paese, nella sua regione. Monica fa altrettando. Lo stesso fanno gli altri che sono tornati. Coraggio, generosità e grande forza fisica, mentale e d’animo di voler costruire qualcosa a "casa loro", nella loro terra, di fare qualcosa di concreto, di creare una scuola, dei nuovi cervelli non piu’ in fuga, una nuova generazione di veri scienziati come quelli che sono diventati loro. Coraggio di saltare gli ostacoli che tutto sommato ci sono ancora, le barriere, le incomprensioni, la mentalità tutto sommato sempre uguale, che poi è la cosa che a me personalmente spaventa di più, molto di più della carenza di fondi e stipendi adeguati. Vivendo e facendo tutto questo con una buona dose di ottimismo che devono avere per forza altrimenti non vanno avanti, ottimismo che li fa apparire sempre sorridenti nonostante tutte le profonde difficoltà che incontrano quotidianamente, alcune dichiarate, altre no. Probabilmente dicendo a loro stessi quale sia il senso, in fondo, di dichiararle tutte se non sono accompagnate da concreti tentativi di risoluzione che cercano di trovare in tutti i modi. Personalmente direi che sono loro i veri coraggiosi fra noi scienziati, coloro che tornano, io davvero li ammiro per il loro coraggio e mi chiedo se più avanti, in un futuro vicino o lontano, ce l’avrò anch’io, forse si, forse no, chi lo sa, non faccio programmi, non mi sento di dovere granché al mio paese perché mi sono costruita da sola, perché quando sono stata pronta e disponibile per apprendere, imparare, mettermi in discussione e conseguentemente produrre, a nessuno nel mio paese è interessato più di tanto. Quindi se e quando tornerò, lo farò perché mossa dalla stessa passione di costruire qualcosa a casa mia esattamente come stanno facendo Monica e Michele, probabilmente imparando da loro e non perché lo devo a qualcuno. Armati ed agguerriti di una forza di volontà che io per ora non mi riconosco in questo frangente, che per ora non possiedo, come dice giustamente Andrea Cortis in un suo intervento, a 43 anni mi sento già vecchia per fare la rivoluzione. Ma di sicuro, in caso di rivoluzione, so a chi chiedere consiglio.
Rosaria Piga, Kyoto, Giappone
2 commenti:
Una testimonianza che gronda forza a ogni parola. Si legge l'amarezza per una terra severa con i propri figli, ma anche la dignità che si conquista a sfidare se stessi.
Un uomo o una donna non si giudicano dal fatto che tornino o meno nel luogo da cui, ancora incoscienti, sono partiti per imparare. Ciò che conta è il coraggio che dimostrano nel seguire la propria vocazione. Se la strada non porta indietro significa, semplicemente, che non era il ritorno, il senso di quella partenza, ma qualcos'altro che ognuno nel suo intimo conosce.
Con stima.
Ada
www.subarralliccu.wordpress.com
Grazie Ada per il tuo bellissimo commento al post di Rosaria. E grazie Rosaria per averci finalmente regalato una pagina di speranza.
Andrea
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