lunedì 23 luglio 2007

Inseguendo le fughe di cervelli

Inseguendo le fughe di cervelli
Walter Falgio. L’Unione Sarda Cultura Estate Pagina VII
In Italia di ricerca non si vive. Secondo il Rapporto sul lavoro atipico della Cgil stilato lo scorso anno, più della metà dei giovani scienziati italiani ha un contratto precario, uno su tre guadagna la miseria di 800 euro al mese quando va bene. Tutti lavorano tra le 38 e le 45 ore settimanali. Strada obbligata per pattuglie di nuove leve della conoscenza è dunque l'emigrazione.
Uno spaccato credibile e documentato del fenomeno "cervelli in fuga" è ora anche in libreria nei titoli della collana "Prospettive" della Cuec: Scienziati di ventura. Storie di cervelli erranti tra la Sardegna e il mondo (146 pagine, 11 euro). Gli autori Andrea Mameli e Mauro Scanu, ricercatori giornalisti, hanno rintracciato in giro per il pianeta una ventina di menti brillanti in ritirata dalla Sardegna. "Senza distinzione d'età e di ruolo", scrivono. Ci sono neo dottori di ricerca e poco più che quarantenni già a capo di equipe di specialisti. Si viaggia dagli Stati Uniti all'Inghilterra, dalla Norvegia al Giappone, dall'Olanda all'Australia.
Carlo Boldetti è scappato da Cagliari dove studiava ingegneria: "I programmi erano datati, c'era poca attenzione per gli studenti". Ha partecipato al programma Erasmus e ha conseguito un dottorato in ingegneria meccanica a Sheffield, Regno Unito. Oggi Boldetti ha 35 anni e progetta componenti per la Formula Uno alla Renault: "Dagli alettoni, alle ruote, dallo sterzo a pezzi del motore". Dopo l'Erasmus, non ancora laureato, è stato assunto per un anno all'Università di Sheffield. Il post-lauream sempre in Inghilterra e subito dopo il lavoro: "Basti pensare che qualche mese prima della fine del dottorato sono stato letteralmente inondato da offerte". Boldetti per ora non ha nessuna intenzione di rientrare in Sardegna e preferisce stare seduto sul pneumatico del bolide Renault, come si vede nel sito web Carloboldetti.com
Rosaria Piga, cagliaritana di nascita 43enne, ha scelto il Giappone. Anche lei è nauseata "da un Paese carente di persone serie e guidate da principi di onestà e lealtà, da un Paese dove vai avanti solo se sei raccomandato o figlio di". Sarebbe il solito piagnisteo qualunquista se non fosse che Piga, appena fuori dall'Italia, è diventata una ricercatrice di prim'ordine. Laureata in scienze biologiche all'Università di Cagliari, dottorato in patologia generale a Torino, dopo il consueto precariato tra le stanze dei laboratori nostrani, è volata all'Università di Kyoto dove lavora da quasi tre anni ad altissimi livelli. "Mi occupo di stress ossidativi". Ovvero studia fenomeni all'origine di malattie come il cancro, il morbo di Alzheimer, il Parkinson. "Proprio perché è un fenomeno comune a numerose patologie, è importante conoscere i motivi e i meccanismi dei vari tipi di stress", spiega. "Lavoriamo anche sull'uso, le potenzialità e gli eventuali sviluppi in medicina dello Snom", microscopio a fibra ottica che consente di esaminare tessuti di poche decine di nanometri, miliardesimo di metro. Di mettere piede in Sardegna non se ne parla. "Almeno per il momento".
Come Carlo Boldetti e Rosaria Piga ce ne sono tanti altri, specialisti disgustati dall'Università e dai centri di ricerca italiani in viaggio verso mete scientificamente più attraenti. Questa emorragia, difficile da quantificare, è un danno enorme per l'Italia. "Si pensi che per formare uno studente dalla scuola elementare al dottorato di ricerca, lo Stato investe risorse quantificabili in 500mila euro", dice Scanu. Risorse che però sono messe a frutto all'estero. I numeri del personale universitario spiegano perché. In Italia su 18651 docenti di ruolo quelli con meno di 35 anni sono solo 9. L'80 per cento dei professori ordinari ha più di 50 anni, il 40 per cento più di 60. Il nostro Paese attira ogni anno appena 29mila studenti stranieri contro i 40mila della Spagna e i 220 mila dell'Inghilterra. L'Italia investe l'1,1 per cento del Pil in ricerca, esclusi i progetti militari, contro per esempio il 3,9 della Svezia.
Nonostante questo scenario qualche coraggioso rientra. Le ultime 25 pagine del libro sono dedicate a chi c'è riuscito. A Francesco Cucca, Monica Mameli, al compianto Giuseppe Pilia.
"Perché il problema è proprio questo", spiega Mameli, "garantire ai ricercatori di fare esperienze all'estero e poi creare le condizioni per farli rientrare". La comunità scientifica è globale, non esistono confini, ma esistono scuole più prestigiose e attrezzate di altre dove uno studioso preferisce lavorare. "Riportare a casa un ricercatore che si è formato in altri paesi, significa restituire un capitale con gli interessi". Per far questo bisogna essere competitivi e occorre un miglioramento strutturale. Il farmacologo Gian Luigi Gessa nell'introduzione al libro conferma: "Sono tornati tanti dei miei allievi e tanti degli allievi dei miei allievi. Anch'io sono tornato e ho costruito una Scuola che ha "filiali" nella penisola". Il merito principale del libro di Mameli e Scanu è di portare un contributo al dibattito aperto dal famoso Cervelli in fuga dell'Associazione dottori e dottorandi (Avverbi editore, 2001) con prove concrete alla mano. Le parole da leggere e le facce degli scienziati di ventura da vedere su http://scienziatidiventura.blogspot.com/
WALTER FALGIO

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